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SECONDO CAPITOLO
Leonardo, Pontormo e il rebus della Visitazione
di Luigi
Pentasuglia
Come anticipavamo a conclusione del
precedente capitolo, l’androgina del leonardesco Giovanni Battista del
Louvre riflette la strategia enigmistica adottata da San Luca per l’episodio
evangelico della Visitazione: l’incontro
di Maria gravida di Gesù con la parente Elisabetta a sua volta gravida di
Giovanni Battista. Quanto all’ambientazione nel sesto mese di gravidanza di
Elisabetta la scelta dell’evangelista non è affatto casuale.
La nostra tesi è che la singolarità
umana della vernice caseosa sia stata da San Luca assimilata nella Visitazione
al Christos, l’Unto in seno alla Vergine Maria. Non è una
coincidenza che Leonardo raffiguri il suo giovane Battista mentre punta
perentorio l’indice verso la croce, laddove nella radiografia compare il Chrismon,
monogramma sia di Cristo che di Crisma.
Né andrebbe trascurata la potenzialità semantica del termine latino index (indice) che, scisso in ‘INDE-X’, tende al senso ‘ecco la X’ (chi) iniziale greca di Christos. Anzi: l’indice puntato, caratteristico di molte figure leonardesche, sembra fungere da firma cripto-ereticale dell’artista. Quanto poi al sorriso compiaciuto del Battista ben si accorda, nella Visitazione, con il senso del dialogo tra Elisabetta e la Vergine Maria.
Esordisce Elisabetta che così risponde al saluto di Maria: «Appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bambino m’è balzato in seno per la gioia».
Le fa eco la Vergine: «Esulta l’anima mia il Signore perché ha considerato l’umiltà della sua serva».
Ebbene, l’esultanza di Maria alla notizia della gioia del Battista-feto stabilisce un’empatia emozionale fra i due. Infatti, qualificando Maria umile serva del Signore, San Luca svela di lei il ruolo simbolico: quello appunto umile e servile del ‘doppio amniotico’ che asseconda passivamente le fattezze del Battista-feto. Ma Maria è anche portatrice del Christos – alias la vernice caseosa -, il che le vale il rango di Anima del Battista autocelebrata nel Magnificat: «Esulta l’anima mia il Signore».
La prova di tutto ciò è criptata nell’ultima frase del capitolo che dice: Maria rimase con lei [Elisabetta] circa tre mesi, poi ritornò a casa sua. Ebbene, sommando i 6 mesi di gestazione di Elisabetta con i circa 3 mesi di soggiorno presso di lei di Maria non otteniamo i 9 mesi di una normale gravidanza? Dunque, perché Maria decide di tornare a casa proprio a ridosso della nascita del Battista? Pertanto, la risposta sta nel fatto che, essendo Maria assimilata al liquido amniotico destinato a ‘svanire’ con la rottura delle acque, la sua presenza è incompatibile con la nascita del Battista!
Ne consegue che Maria ed Elisabetta
sono altrettante espressioni della stessa persona: infatti, se da un lato
Elisabetta è la madre naturale di Giovanni Battista, dall’altro Maria incarna
l’archetipo della ‘Prima Madre’ o ‘doppio amniotico’, il che giustifica anche
lo scarto d’età fra le due: non è forse la gestante ‘più anziana’ del liquido
amniotico che porta in grembo?
Agli esegeti più avveduti non è
affatto sfuggita l’analogia tra la Visitazione lucana e il mito di Demetra alla
ricerca di sua figlia Persefone rapita dal dio degli inferi Ade. Si narra che
nel suo peregrinare Demetra s’imbatté nella vecchia nutrice Baubò che, per
sollevarle il morale, si scoprì il grembo sul quale apparve sorridente il volto
di Iacco figlio di Persefone. Dunque, come nella ‘Visitazione’, una madre
giovane incontra una madre anziana che, paradossalmente, porta in
grembo un bambino che si anima!
Una certa rilevanza ha per il nostro assunto questo reperto archeologico dell’antica città greca di Priene che raffigura una Baubò ‘a tutta pancia’ con su inciso il volto sorridente di Iacco figlio di Persefone. Il fatto che imbracci la cetra chiama in causa l’altro suo nome, ovvero ‘Iambé’ assonante con ‘giambo’, il ritmo greco ‘breve lunga’ che imita il ritmo cardiaco che sovrasta l’habitat sonoro intrauterino.
Ebbene, nella Visitazione il ruolo
di ‘Iambé’ è assolto dalla Vergine Maria la cui ‘sonante voce’ è rimarcata dall’esclamazione
concitata di Elisabetta: «Appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie
orecchie, il bambino m’è balzato in seno per la gioia». Tuttavia, di là dal
plagio, la Visitazione sembra piuttosto rispecchiare l’opera di proselitismo
apostolico del Cristianesimo delle origini che attingeva ai miti pagani per
attrarre i gentili verso la nuova fede.
Un esegesi, la nostra, certamente condivisa da una ristretta cerchia di artisti e umanisti rinascimentali. È quanto si evince dall’enigmatica Visitazione del pittore Jacopo Carucci detto il Pontormo: in primo piano Maria ed Elisabetta si abbracciano mentre sullo sfondo due loro sosie fissano l’osservatore come a interrogarlo sul mistero dello ‘sdoppiamento’.
La chiave di volta sta nella
tonalità delle vesti. Diversamente dalla sosia di Elisabetta, la sosia di Maria presenta i
colori della tunica e del copricapo invertiti. È dunque così che l’artista
cripta il ruolo simbolico della Vergine, ossia di immagine ‘inversa’ del
Battista-feto, di ‘doppio amniotico’ cui, tra l’altro, si addice il
convenzionale blu oltremare della tunica.
Tuttavia, chi più di tutti gli artisti rinascimentali seppe scandagliare a fondo il rebus della Visitazione è - come avremo modo di appurare nel prossimo capitolo - Leonardo da Vinci, in particolar modo nella versione del Louvre della Vergine delle rocce.
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