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QUARTO CAPITOLO (I parte)
Il
rebus Gioconda
di
Luigi Pentasuglia
Diviso in due parti,
questo capitolo dedicato alla Gioconda è il punto d’arrivo della personale
riflessione sugli aspetti ermetici dell’arte leonardesca confluita, nel 2016,
nel saggio I volti della Gioconda. Monna Tao: le radici orientali del
templarismo.
Se da un lato il
simbolismo della Gioconda si accorda con il rebus della Visitazione
lucana che alla stregua di fil rouge interseca le opere leonardesche
esaminate nei precedenti capitoli, dall’altro si distingue per la valenza
autoreferenziale, tale da farla assurgere a una sorta di testamento spirituale
dell’artista.
Un indizio autobiografico
della Gioconda lo riserva ancora una volta il Gruppo di Sant’Anna dove
il volto della Madonna è sorprendentemente simile a quello della Isleworth
Mona Lisa. È questo un autografo preparatorio della Gioconda che,
agli inizi del secolo scorso, apparteneva al collezionista d’arte Hugh
Blaker che lo teneva nel suo studio londinese a Isleworth.
Partendo dalla tesi
freudiana già trattata nel precedente capitolo, tesi secondo cui nel Gruppo
di Sant’Anna Leonardo si è proiettato in Gesù bambino evocando il suo sogno
infantile che in culla un nibbio con la coda gli lambiva le labbra, per
coerenza d’intenti egli potrebbe aver altresì effigiato la Vergine con le
sembianze di mamma Caterina riproposte nella Isleworth Mona Lisa.
Lo fa sospettare un
dettaglio sullo sfondo a sinistra sopra la strada tortuosa dove campeggia una
macchia vegetativa i cui contorni tradiscono la silhouette di un feto
con tanto di manina al centro, feto che si riflette in uno specchio d’acqua
evocando il ‘doppio amniotico’. Si tratta dunque di una deroga concettuale al
progetto ritrattistico originario, quasi che l’artista sia stato d’un tratto
sospinto dal bisogno di proiettarsi idealmente nel feto accanto a sua madre.
Da qui il ripensamento
radicale dell’opera per eternare l’ancestrale simbiosi affettiva con mamma
Caterina qui intesa nell’accezione di ‘Prima Madre’ intrauterina. Altrimenti:
perché lasciare incompiuta la bella Isleworth Mona Lisa per gettarsi
capofitto nella certamente meno avvenente Gioconda?
Il nome ‘Ioconda’ compare
tra i titoli delle opere ereditate dalle sorelle del modello e forse amante di
Leonardo. Si tratta di Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì che affibbiò quel
nome alla copia di sua mano del capolavoro leonardesco avendolo verosimilmente
mutuato dal maestro di Vinci che, come avremo modo di appurare, l’intese
nell’accezione latina di ioco (gioco, ‘rebus’).
Il primo elemento degno
di attenzione è l'agglomerato dolomitico in alto a destra, a ridosso della
testa della dama. Un'attenta osservazione rivela che la linea delle creste
rocciose disegna un profilo giovanile femminile di cui sono leggibili le
sfumature chiaroscurali del naso, delle labbra e del mento. Che si tratti del
profilo di mamma Caterina?
Lo conferma, per
contrasto, un dettaglio paesaggistico sull'altro lato del dipinto. Ben
mimetizzo tra rocce, nebbia e fitta vegetazione, emerge qui il profilo
grottesco di un anziano che ha per prototipi il vasto repertorio di teste
burlesche leonardesche. Se dunque il bel profilo a destra è di mamma Caterina,
quello sgraziato dell’anziano a sinistra deve far capo al padre di Leonardo,
messer Piero da Vinci, forse a prova del risentimento nutrito dall’artista per
il trattamento di figlio illegittimo.
Un terzo significativo
elemento autobiografico è criptato nello sfondo a sinistra sopra la strada. È
un ammasso roccioso le cui creste disegnano il profilo di un uomo barbuto
(figura B). Che trattasi del calco funerario di Leonardo lo prova un macabro
indizio sopra e a destra del ‘calco’ (figura A). Infatti, ruotando l'immagine
di 90° appare, sospeso in uno scenario surreale, la calotta di un teschio umano
orientato per tre quarti come la testa della dama (figure C e D).
Controbilancia l’idea di
'morte' la sagoma della testa d'ariete affiorante a pelo d'acqua sopra e
parallelo al ponte nello sfondo a destra: non è forse Leonardo nato il 15 di
aprile, cioè nel segno zodiacale dell'Ariete? Il fatto che l’ariete
emerga dall’acqua, proprio sotto il profilo di mamma Caterina, avvalora la tesi
che Leonardo intendesse contestualmente attribuire alla madre l’accezione di
'doppio amniotico’.
In ultima analisi, il
volto della Gioconda è declinabile al plurale: se da un lato la fronte e
gli occhi sono di un giovane Leonardo, dall’altro il mento le labbra e il naso
della dama sono di una altrettanto giovane mamma Caterina. Dipende dunque
dall’asettica giustapposizione dei due distinti tratti fisiognomici
l'enigmatico sorriso della Gioconda sospeso tra gaiezza e tristezza?
La seconda parte del
capitolo quarto sulla Gioconda concerne la matrice ideologica
dell’opera: il Taoismo.
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