sabato 21 novembre 2020

ArtEretica. Quinto capitolo

 

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L’imprinting umano: dall’alchimia alla scienza

di Luigi Pentasuglia

 

Con questo capitolo si chiude il primo ciclo di ‘ArtEretica’ dedicato all’analisi di alcune opere di Leonardo da Vinci ispirate all’episodio lucano della ‘Visitazione’. Nel secondo capitolo si è insistito sulla presa di coscienza del Battista nel sesto mese di gestazione in coincidenza con la comparsa della vernice caseosa, una coincidenza, questa, da San Luca interpretata in termini, per così dire alchimistici, ma che vale la pena indagare su basi scientifiche.

 


Sappiamo che la vernice caseosa che ricopre l’intera superficie corporea fetale alla stregua di una muta subacquea, se da un lato preserva il feto dall’azione macerante del liquido amniotico, dall’altro gli consente di percepire tattilmente lo ‘stampo’ o ‘doppio amniotico’ in cui è immerso.

 


La percezione tattile del ‘doppio amniotico’ da parte del feto dipende dalla precoce maturazione, già a partire dal quinto mese di gestazione, della parte più arcaica dell’orecchio interno: l’apparato vestibolare che comprende l’integratore somatico preposto al controllo delle sensazioni sia tattili che posturali.

 


Dunque, quanto basta per fissare tracce mnestiche del vissuto intrauterino di cui, un residuo è forse una particolare forma di illusione ottica che si ottiene osservando da una certa angolazione la copia in argilla del disegno fetale di Leonardo. Visto di fronte lo stampo del feto (figura A) si muta d’incanto nel suo calco (figura B). Si tratta di una falsa percezione nota come  Hollow-Face illusion (viso cavo) sovente sfruttato nei thriller per destare sconcerto nello spettatore, come nel caso di questa breve sequenza del film London Fields (vedi versione You Tube). 

 Non escludiamo che la genesi intrauterina della Hollow-Face illusion si correli al processo di rimozione del ‘doppio amniotico’ che affronteremo più avanti. Si tratterebbe di una sorta di censura psicologica che ci salvaguarda dal pericolo dissociativo, considerando che gli schizofrenici sono per lo più insensibili al ‘viso cavo’, capaci cioè di vedere nella sua oggettività il vuoto della maschera.

 


Nel saggio Il perturbante Sigmund Freud tratta l’eziologia del ‘doppio’ nella vita psichica dei primitivi e dei bambini derivandola da un fatto rimosso che si ripresenta alla stregua di qualcosa «di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare». Ci chiediamo: cosa c’è di più intimamente familiare del ‘doppio amniotico’ che un tempo ci replicava in tutto e per tutto?

 


Tuttavia, perché l’immagine del ‘doppio amniotico’ possa radicarsi nel profondo della psiche è necessario un meccanismo che lo fissi per sempre come l’imprinting. Si tratta di un dispositivo di apprendimento precoce per cui, nel caso degli uccelli, alla schiusa delle uova i  pulcini sono istintivamente attratti dalla prima immagine che vedono muoversi che normalmente coincide con quella dei genitori cui spetta il compito di orientare i piccoli nelle strategie di sopravvivenza.

 


Nel caso sia l’uomo a sostituirsi alla madre alla schiusa delle uova i pulcini riceveranno l’imprinting su di lui: fanno testo le spettacolari immagini del premio Nobel Konrad Lorenz che procede a piedi o in canoa con al seguito una teoria di anatroccoli imprintatisi su di lui (vedi versione You Tube). 

 


Un celebre esempio d’imprinting su modello umano è il documentario Il popolo migratore. Le straordinarie riprese degli uccelli in volo sono state possibili dato che alla schiusa delle uova i pulcini hanno ricevuto l’imprinting sul pilota di deltaplano che li ha più tardi guidati nel lungo viaggio migratorio (vedi versione You Tube).

 


Ma veniamo al dunque. L’ipotesi che avanziamo è che, diversamente da quanto normalmente accade nel resto dei vertebrati, nell’uomo l’imprinting sopraggiunge prematuramente nel sesto mese di gravidanza per impatto del feto sull’immagine stampo di se stesso o  'doppio amniotico'.

 


Indiziario a riguardo un tipico comportamento infantile che lo psicanalista francese Jaques Lacan chiama ‘Stadio dello specchio’. Un bambino dai 6 mesi ai 18 mesi che vede la sua immagine nello specchio dà segni di padronanza nei movimenti, tutto ciò in contraddizione con la percezione frammentata del corpo propria di questa fase di sviluppo. È verosimile, dunque, che l’immagine del piccolo riflessa nello specchio rinnovi in lui la percezione del proprio corpo unificato da poco sperimentata a contatto con il ‘doppio amniotico’ (vedi versione You Tube).

 


La tesi dello ‘Stadio della specchio’ come portato del vissuto intrauterino si concilia con l’ipotesi freudiana dell’esistenza di una fase anticipatrice del narcisismo primario. Scrive Freud: «Se le pulsioni autoerotiche sono assolutamente primordiali una nuova azione psichica, deve aggiungersi all’autoerotismo perché si produca il narcisismo». Ebbene, cosa c’è di più predisponente al narcisismo se non l’imprinting sull’immagine stampo di noi stessi?

 


È merito del padre della teoria degli archietipi Carl Gustav Jung aver intravisto nell’acqua l’oscuro specchio che poggia nel più profondo della psiche. Chi come Narciso vi si specchia – egli afferma -, rischia di diventare inconscio di se.

 


C’è da dire che l’irreversibilità dell’imprinting, almeno in base alla nostra ipotesi, ci espone al grave rischio di rimanere come Narciso ‘prigionieri’ della nostra stessa immagine. In altri termini, il fallimento della rimozione del ‘doppio amniotico’ potrebbe annoverarsi tra i fattori scatenanti la sindrome autistica: il vasto campionario di gesti compulsivi che la caratterizzano sembra infatti compensativo del vissuto affettivo-sensoriale sotto l’egida del ‘doppio amniotico’.

 


Questa breve dissertazione sull’imprinting umano ci porta a concludere che l’uomo è dominato da una pulsione di onnipotenza volta a colmare il vuoto esistenziale per la perdita dell’ancestrale mondo intrauterino fatto a nostra immagine e somiglianza. Una pulsione irriducibile che risale al vissuto prenatale alimentando l’insaziabile sete di potenza e sopraffazione che, come afferma l’etologo Danilo Mainardi, fanno dell’uomo l’unico essere che «uccide sistematicamente, in modo organizzato, in massa, individui della sua stessa specie».

 


Gli fa eco lo psicanalista Alfred Adler che sulla natura narcisista dell’uomo non ha dubbi. Egli scrive:

«che uno voglia essere un artista, o che voglia primeggiare nel suo mestiere, o che uno abbia un dialogo col suo Dio, o che parli male degli altri, o che consideri il suo dolore il maggiore di tutti cui tutti devono piegarsi, egli è condotto dal suo desiderio di superiorità, dal suo sentirsi simile a Dio».

 


Persino la natura eminentemente autoriflessiva e creativa della mente umana può ritenersi il sintomo dell’auto-imprinting, avvalorando l’osservazione dell’archeologo Paul Jordan secondo cui, fin dagli albori, l’uomo interpreta il mondo come qualcosa in cui ‘riflettersi’, un mondo che gli appare simile a una sala degli specchi in cui la coscienza non può fare altro che pensare a se stessa.

 



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