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L’imprinting
umano: dall’alchimia alla scienza
di
Luigi Pentasuglia
Con
questo capitolo si chiude il primo ciclo di ‘ArtEretica’ dedicato all’analisi
di alcune opere di Leonardo da Vinci ispirate all’episodio lucano della
‘Visitazione’. Nel secondo capitolo si è insistito sulla presa di coscienza del
Battista nel sesto mese di gestazione in coincidenza con la comparsa della
vernice caseosa, una coincidenza, questa, da San Luca interpretata in termini,
per così dire alchimistici, ma che vale la pena indagare su basi scientifiche.
Sappiamo
che la vernice caseosa che ricopre l’intera superficie corporea fetale alla
stregua di una muta subacquea, se da un lato preserva il feto dall’azione
macerante del liquido amniotico, dall’altro gli consente di percepire
tattilmente lo ‘stampo’ o ‘doppio amniotico’ in cui è immerso.
La
percezione tattile del ‘doppio amniotico’ da parte del feto dipende dalla
precoce maturazione, già a partire dal quinto mese di gestazione, della parte
più arcaica dell’orecchio interno: l’apparato vestibolare che comprende
l’integratore somatico preposto al controllo delle sensazioni sia
tattili che posturali.
Dunque,
quanto basta per fissare tracce mnestiche del vissuto intrauterino di cui, un
residuo è forse una particolare forma di illusione ottica che si ottiene
osservando da una certa angolazione la copia in argilla del disegno fetale di
Leonardo. Visto di fronte lo stampo del feto (figura A) si muta
d’incanto nel suo calco (figura B). Si tratta di una falsa percezione
nota come Hollow-Face illusion
(viso cavo) sovente sfruttato nei thriller per destare sconcerto nello
spettatore, come nel caso di questa breve sequenza del film London Fields (vedi versione You Tube).
Nel
saggio Il perturbante Sigmund Freud tratta l’eziologia del
‘doppio’ nella vita psichica dei primitivi e dei bambini derivandola da un
fatto rimosso che si ripresenta alla stregua di qualcosa «di spaventoso che
risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare». Ci
chiediamo: cosa c’è di più intimamente familiare del ‘doppio amniotico’ che un
tempo ci replicava in tutto e per tutto?
Tuttavia,
perché l’immagine del ‘doppio amniotico’ possa radicarsi nel profondo della
psiche è necessario un meccanismo che lo fissi per sempre come l’imprinting.
Si tratta di un dispositivo di apprendimento precoce per cui, nel caso degli
uccelli, alla schiusa delle uova i
pulcini sono istintivamente attratti dalla prima immagine che vedono
muoversi che normalmente coincide con quella dei genitori cui spetta il compito
di orientare i piccoli nelle strategie di sopravvivenza.
Nel
caso sia l’uomo a sostituirsi alla madre alla schiusa delle uova i pulcini
riceveranno l’imprinting su di lui: fanno testo le spettacolari immagini del
premio Nobel Konrad Lorenz che procede a piedi o in canoa con al seguito una
teoria di anatroccoli imprintatisi su di lui (vedi versione You Tube).
Un
celebre esempio d’imprinting su modello umano è il documentario Il popolo
migratore. Le straordinarie riprese degli uccelli in volo sono state
possibili dato che alla schiusa delle uova i pulcini hanno ricevuto
l’imprinting sul pilota di deltaplano che li ha più tardi guidati nel lungo
viaggio migratorio (vedi versione You
Tube).
Ma
veniamo al dunque. L’ipotesi che avanziamo è che, diversamente da quanto
normalmente accade nel resto dei vertebrati, nell’uomo l’imprinting
sopraggiunge prematuramente nel sesto mese di gravidanza per impatto del
feto sull’immagine stampo di se stesso o
'doppio amniotico'.
Indiziario
a riguardo un tipico comportamento infantile che lo psicanalista francese
Jaques Lacan chiama ‘Stadio dello specchio’. Un bambino dai 6 mesi ai 18 mesi
che vede la sua immagine nello specchio dà segni di padronanza nei movimenti,
tutto ciò in contraddizione con la percezione frammentata del corpo propria di
questa fase di sviluppo. È verosimile, dunque, che l’immagine del piccolo
riflessa nello specchio rinnovi in lui la percezione del proprio corpo unificato
da poco sperimentata a contatto con il ‘doppio amniotico’ (vedi versione You Tube).
La
tesi dello ‘Stadio della specchio’ come portato del vissuto intrauterino si
concilia con l’ipotesi freudiana dell’esistenza di una fase anticipatrice del
narcisismo primario. Scrive Freud: «Se le pulsioni autoerotiche sono
assolutamente primordiali una nuova azione psichica, deve aggiungersi
all’autoerotismo perché si produca il narcisismo». Ebbene, cosa c’è di più
predisponente al narcisismo se non l’imprinting sull’immagine stampo di noi
stessi?
È merito del padre della teoria degli archietipi Carl
Gustav Jung aver intravisto nell’acqua l’oscuro specchio che poggia nel più
profondo della psiche. Chi come Narciso vi si specchia – egli
afferma -, rischia di diventare inconscio di se.
C’è
da dire che l’irreversibilità dell’imprinting, almeno in base alla nostra
ipotesi, ci espone al grave rischio di rimanere come Narciso ‘prigionieri’
della nostra stessa immagine. In altri termini, il fallimento della rimozione
del ‘doppio amniotico’ potrebbe annoverarsi tra i fattori scatenanti la
sindrome autistica: il vasto campionario di gesti compulsivi che la
caratterizzano sembra infatti compensativo del vissuto affettivo-sensoriale
sotto l’egida del ‘doppio amniotico’.
Questa
breve dissertazione sull’imprinting umano ci porta a concludere che l’uomo è
dominato da una pulsione di onnipotenza volta a colmare il vuoto esistenziale
per la perdita dell’ancestrale mondo intrauterino fatto a nostra immagine e
somiglianza. Una pulsione irriducibile che risale al vissuto prenatale
alimentando l’insaziabile sete di potenza e sopraffazione che, come afferma l’etologo Danilo Mainardi, fanno dell’uomo l’unico essere che «uccide
sistematicamente, in modo organizzato, in massa, individui della sua stessa
specie».
Gli
fa eco lo psicanalista Alfred Adler che sulla natura narcisista dell’uomo non
ha dubbi. Egli scrive:
«che
uno voglia essere un artista, o che voglia primeggiare nel suo mestiere, o che
uno abbia un dialogo col suo Dio, o che parli male degli altri, o che consideri
il suo dolore il maggiore di tutti cui tutti devono piegarsi, egli è condotto
dal suo desiderio di superiorità, dal suo sentirsi simile a Dio».
Persino
la natura eminentemente autoriflessiva e creativa della mente umana può
ritenersi il sintomo dell’auto-imprinting, avvalorando l’osservazione
dell’archeologo Paul Jordan secondo cui, fin dagli albori, l’uomo interpreta il
mondo come qualcosa in cui ‘riflettersi’, un mondo che gli appare simile a una sala
degli specchi in cui la coscienza non può fare altro che
pensare a se stessa.
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