domenica 17 gennaio 2021

LEONARDO DA VINCI: IL BLUFF DEL PAESAGGIO DELLA VALDARNO

LEONARDO DA VINCI E

IL BLUFF DEL PAESAGGIO DELLA VALDARNO

di Luigi Pentasuglia

 

         Come una veduta «a volo d'uccello» è comunemente letto il soggetto di un ben noto disegno giovanile di Leonardo da Vinci, conosciuto come Paesaggio con la veduta dell'Arno[1].

 


         Lo stile naturalistico dell'opera, che a prima vista presagisce il gusto paesaggistico giorgionesco, suggerisce invece a Simona Cremante una sorta d'impressionismo ante litteram:

«il veloce tratteggio, orizzontale o curvo, con cui sono accennati gli alberi – ella afferma - restituisce la percezione atmosferica delle chiome che sembrano vibrare nell’aria e nella luce. Il disegno potrebbe anche essere stato eseguito da Leonardo direttamente sul posto, all’aperto (en plen air) visto che è eseguito a penna senza traccia sottostante, in un giorno d’estate di cui lui stesso ha registrato la data nell’iscrizione in alto a sinistra: dì di Santa Maria della neve / addì 5 d’hagosto 1473»[2].

            Dal canto suo, Peter Hohenstatt, pur giudicando il bozzetto come «la prima rappresentazione paesaggistica dell’arte italiana che riproduca un paesaggio realmente esistente in un disegno libero», non esita a denunciarne le incongruenze:

«la rappresentazione della linea delle montagne con il castello, il cui tratteggio copre parzialmente il paesaggio disegnato prima è - egli scrive - un’aggiunta posteriore di Leonardo. Essa non è una rappresentazione dal vero di un luogo […] Anche la cascata, notevolmente accentuata, fu aggiunta solo in seguito. Essa è resa con tratti semplici e forti che lasciano presumere che si tratti di un’osservazione fittizia»[3].

            Per il leonardista Carlo Pedretti, invece, non solo quel disegno ritrae realmente un paesaggio toscano, ma presenta addirittura tratti in comune con lo sfondo della Gioconda, nonostante la presenza in quest'ultima di dettagli paesaggistici tipicamente alpini. Il paradosso è da lui superato ipotizzando la «doppia ambientazione» della Gioconda; in altri termini, Leonardo potrebbe aver in quel dipinto,

 «adottato un approccio sintetico al problema prospettico di comprimere un vasto territorio nello spazio ristretto di un dipinto, che per di più necessita di uno sfondo a connotazioni simboliche più che di un’ambientazione di accuratezza topografica»[4].

            Ebbene, di «connotazioni simboliche» - sia pure, come vedremo, condite di sarcasmo! - è intriso il disegno giovanile leonardesco, per quanto siano rimasti fino a oggi invisibili agli occhi degli esperti, diventati essi stessi, loro malgrado, vittime del bluff genialmente ordito da un ventunenne artista, evidentemente ancora in vena di scherzare. Altro che Valdarno!  qui piuttosto ci troviamo di fronte a un Leonardo 'illusionista', che gioca, occultando teste antropomorfe e zoomorfe nelle rocce e nella vegetazione. Ecco come.

Ai piedi delle due colline diafane e filiformi poste centralmente in alto, s'intravede la sagoma di un cavallo sdraiato che ha per dorso la lunga collinetta ombreggiata e per testa lo spuntone di sinistra su cui sono leggibili la criniera, la cavezza e le orecchie ben tese.





            Il grande masso allungato sullo strapiombo roccioso a destra, riproduce invece la sagoma di una gigantesca testa di gallina, con tanto di becco, occhio, cresta e bargiglio.

 



                A destra dell'occhio della gallina, un gioco di linee concentriche semicircolari forma l'occhio di un cane con le fauci spalancate.

 

            Senza soluzione di continuità, l'occhio del cane simula l'orecchio di un agnello.

 

 

                Incollato alla gola del cane compare abbozzata la testa di un leone, il cui muso e criniera sono resi plasticamente dalle fronde di tre alberi sottostanti, mentre l'occhio è visibile a destra della striatura bianca più bassa.

 


                Al centro dell'affaccio a 'U' sulla vallata, si scorge la sagoma di una di una volpe.

 

 

                Il corpo della volpe si fonde in basso con la testa gigantesca di un gatto. 

 

 

                Nell'angolo sinistro in basso - in diagonale con la testa di gallina - è accennata la testa di un pulcino in posizione frontale.

 


 

                All'illusionismo "zoomorfo" della parte destra e bassa del paesaggio, fa da contraltare quello quasi interamente "antropomorfo" della parte sinistra. 

Una formidabile testa di leonessa con la zampa allungata sul bordo del laghetto, campeggia ai piedi della montagna di sinistra.

 

 

                Il muso della leonessa dà adito a una seconda interpretazione: si tratta di una testa umana completamente rovesciata all'indietro (si noti la protuberanza del pomo d'Adamo). 

 


            La testa del pesce riserva a sua volta una sorpresa: una seconda testa umana adagiata su un lato. Se la capigliatura è evocata dalla folta vegetazione a destra, il profilo si evince dalla fascia chiara curva in basso che delimita, a partire da destra, la fronte, quindi il grande naso ricurvo di cui è visibile una narice.   

 


                Una terza testa umana, vista di spalle, si trova sopra la precedente: essa ha per capigliatura la vegetazione sottostante la cinta muraria del castello; il viso è ritratto nella classica modalità del "profilo perduto", vale a dire che di esso si scorgono solo le curve della fronte, dello zigomo e della gola.        

 


                In conclusione, a parte la pianura sullo sfondo, nulla del paesaggio di Leonardo può rapportarsi a un ambiente reale, tanto meno a quello della Valdarno di cui - al più - è la parodia. Anzi: forse sarebbe più giusto definire questo lavoro una vera e propria 'presa per i fondelli' per l'osservatore disattento. Tutto ciò perché? Per un ultimo dettaglio. Dove si trova? Precisamente nel punto da cui siamo partiti: ossia, delle due colline in alto al centro, il dettaglio è in quella più in basso.

 


 


 


 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]L'opera: Paesaggio con la veduta dell'Arno (1473), n. 1 [8Pr], Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.

[2] Simona Cremante, Leonardo da Vinci, Milano 2005, p. 254.

[3] Peter Hohenstatt, Leonardo da Vinci, Milano 2000, 18.

[4] Pietro C. Marani, Leonardo. La Gioconda, Giunti 'Art Dossier', Firenze 2003, p. 6.


Imprinting Umano

 

     IMPRINTING UMANO

                                            di Luigi Pentasuglia


Uno dei temi più controversi dell’etologia riguarda l’imprinting umano[1]. Sulla presenza di una fase sensibile imprinante nell’uomo i pareri degli esperti sono talmente discordanti da far finanche dubitare dell’esistenza stessa del fenomeno nella nostra specie. Ad accoglie la sfida è il musicologo Luigi Pentasuglia che, nel saggio I volti della Gioconda, facendo leva su un’intuizione di Leonardo da Vinci, con piglio eurustico avanza l’ipotesi dello scatenamento del tutto anomalo dell’imprinting umano durante il sesto mese di vita intreuterina[2].

 

Il grande balzo dell’umanità

Punto di partenza è lo studio dei fossili. L'uomo moderno è il risultato dell'evoluzione dell'Homo erectus culminata nell’uomo di Cro-Magnon (Homo sapiens sapiens), l’artefice delle straordinarie pitture rupestri di Lascaux (Francia sud-occidentale) risalenti a circa 20.000 anni fa. Lo stile oltremodo progredito di questi dipinti ha fatto dire al biologo evolutivo Richard Dawkins che è come se i frutti dell’ingegno moderno, dalla Cappella Sistina alla relatività ristretta, dalle Variazioni Goldberg alla congettura di Goldbach, fossero contemporanei delle pitture di Lascaux[3]. Dal canto suo, l’archeologo Paul Jordan osserva che, da quel momento in poi, la mente umana ha iniziato a interpretare il mondo che lo circondava alla stregua di qualcosa in cui ‘riflettersi’: siamo, a suo dire, agli albori dell’auto-coscienza, paragonata a una filosofica sala degli specchi in cui la coscienza non può fare altro che pensare a se stessa[4].

 

La teoria acquatica

Una traccia indiziaria sugli esordi dell'auto-coscienza umana l’offre il best seller La scimmia nuda dello zoologo inglese Desmond Morris che esordisce con una questione cruciale: perché delle 193 specie di scimmie viventi l’unica a essere priva di pelliccia è proprio la nostra? Tra le varie teorie, quella che più affascina Morris è l’acquatica, secondo cui l’evoluzione dell’uomo sarebbe transitata di specie in specie, dall’arboricola alla cacciatrice all’acquatica - con la conseguente perdita della pelliccia per esigenze idrodinamiche - e infine nuovamente alla terrestre. Lo prova, tra l’altro, la particolare sensibilità delle nostre mani: «anche una mano piuttosto rozza – egli afferma - riesce dopo tutto a tenere un bastone o una pietra, ma per sentire il cibo nell'acqua occorre una mano fine e sensibile»[5].

 

La vernice caseosa

A corroborare la teoria acquatica concorre inoltre la circostanza che l'uomo è l'unico primate che, al pari delle balene e delle foche, sia dotato di uno spesso strato di grasso sottocutaneo idrofobico. Tra i costituenti di tale grasso figura lo squalene, una sostanza oleosa presente nella vernice caseosa: è questo un composto lipidico prodotto esclusivamente dalle ghiandole sebacee del feto umano per proteggerlo dall'azione macerante del liquido amniotico.  Ed è proprio la specificità umana della vernice caseosa che la candida a potenziale fattore scatenante dell'imprinting umano in fase prenatale. Vediamo come.

 

Il ‘doppio amniotico’

Bisogna innanzi tutto considerare che il feto vive immerso in un vero e proprio bagno di stimolazioni, bombardato da miriadi di miriadi d'impulsi provenienti da ogni parte dell’ambiente liquido intrauterino: borborigmi dell’intestino materno, flusso e riflusso respiratorio della madre, martellamento incessante dei suoi battiti cardiaci e, infine, i rumori che il feto stesso provoca nel liquido amniotico.  Si produce così un equilibrio pressorio tra la massa corporea fetale e gli stimoli esterni, tale che la struttura esteriore del corpo sia percepita dal feto così com’è. Per avere un'idea di come il feto percepisce il suo habitat, immaginiamo di dividere la forma sferica dell’utero in due parti simmetriche: le due porzioni di liquido amniotico contenute nei due emisferi (che penseremo solidificate) riporteranno le impronte dei lati destro e sinistro del feto stesso. Possiamo quindi asserire che lo spazio interno al liquido amniotico occupato dal feto coincide con il suo stesso 'stampo' o 'doppio amniotico', che lo duplica plasticamente in ogni sua ben che minima movenza.

 


L’imprinting intrauterino

Sappiamo che prima del sesto mese l’apparato nervoso fetale preposto alla stabilizzazione dello schema corporeo è ormai maturo. Ciò consente al feto di stabilire un controllo su tutto il corpo, dai movimenti corporei fino alle sollecitazioni vibratorie provenienti dall’habitat intrauterino percepito soprattutto a livello epidermico[6]. Ed è a questo punto che, l’interposizione della vernice caseosa tra il feto e lo stampo amniotico è in grado innescare il dispositivo dell’imprinting, decretando la fine dello stato fusionale tra il feto e l’habitat liquido che lo contiene, per quindi inaugurare un nuovo corso esistenziale fondato sulla distinzione fisica tra questi due. In ultima analisi, l’imprinting avverrebbe nell'uomo anticipatamente, con modalità tattile, durante il sesto mese di gravidanza, per ‘impatto’ del feto sul 'doppio amniotico', l’altro da sé corrispondente all'immagine in 'negativo' di se stesso impressa nel liquido amniotico.

 

Indizi probatori

Si possono considerare indizi dell’anticipato imprinting umano alcuni comportamenti neonatali cui, ancora oggi, la neurospichiatria infantile non ha saputo dare una risposta convincente. Si pensi, ad esempio, ai bambini di appena tre settimane, che sono capaci di imitare bene un adulto che tira fuori la lingua o spalanca la bocca[7], oppure ai neonati di soli due giorni, che riescono a imitare le espressioni mimiche di un adulto, che si rivolge loro sorridendo o aggrottando le sopracciglia[8]. La domanda è: come fanno i bambini a sapere che la faccia dell'adulto che vedono somiglia effettivamente alla loro, che non hanno mai visto e che hanno potuto sperimentare soltanto per via tattile? Non si può quindi escludere che simili comportamenti rievochino nel neonato il trascorso sensoriale di tipo propriocettivo vissuto in simbiosi con il 'doppio amniotico' nel quale, un tempo, si rifletteva plasticamente, essendo a sua volta replicato nei gesti, ivi compresa la mimica facciale.

 

Lo ‘stadio dello specchio’

All’imprinting intrauterino andrebbe altresì ascritto un tipico comportamento infantile messo in luce dallo psicanalista francese Jacques Lacan in un suo celebre contributo intitolato Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io. L'autore parla dello strano sentimento di esultanza e padronanza di sé che il bambino dai sei agli otto mesi prova nel vedersi riflesso in uno specchio come un corpo unificato. Si tratta, in verità, di una percezione contraddetta dall’inadeguatezza motoria propria di quel periodo di sviluppo: «il piccolo d’uomo - afferma Lacan - a un’età in cui per un breve periodo è superato nell’intelligenza strumentale dallo scimpanzé, già riconosce però nello specchio la propria immagine come tale»[9]. È interessante osservare che lo studioso giustifica lo ‘stadio dello specchio’, sia ricorrendo al concetto di neotenia che produce nel bambino il miraggio della propria unità corporea, sia prospettando l'entrata in funzione dei meccanismi istintivi che presiedono appunto l’imprinting[10].   

 

Imprinting e autismo

Il costante feedback sensoriale tra il feto e il ‘doppio amniotico’ si traduce in una tautologia percettiva, una sorta di corto circuito simmetrico tra gli stimoli del corpo e quelli provenienti dall'esterno, tale da fornire una solida sponda scientifica alla tesi di Jordan sulla genesi dell’autocoscienza fondata sull’assioma per cui la coscienza non può fare altro che pensare a se stessa[11]. Una diagnosi, questa, che calza altrettanto bene per l’empatia, il sentimento descritto come la capacità di andare verso il mondo dell’altro portando l'altro nel proprio mondo. Il fatto che l’empatia difetti negli autistici, apre la strada all’eventualità che tra le cause della malattia possa annoverarsi la mancata rimozione dell'imprinting intrauterino[12]. In altri termini, come Narciso rimane ‘prigioniero’ della propria immagine riflessa nello stagno, allo stesso modo gli autistici sono ‘prigionieri’ dell’immagine di se stessi riflessa nel liquido amniotico responsabile dell’imprinting: un’immagine inconscia che i piccoli psicotici tentano in ogni modo di rimpiazzare ricorrendo a stereotipie motorie ripetitive atte a soddisfare il trascorso sensoriale sperimentato sotto l’egida del ‘doppio amniotico’[13]. Del resto, lo stesso Freud aveva postulato l'esistenza di una fase autistica precoce anticipatrice del narcisismo primario: «Se le pulsioni autoerotiche sono assolutamente primordiali - egli afferma – qualcosa, una nuova azione psichica, deve aggiungersi all’autoerotismo perché si produca il narcisismo»[14]. Non potrebbe pertanto questa nuova azione psichica addebitarsi all'imprinting prenatale in cui l'immagine imprintante coincide con quella dell'imprintato?[15]

 

La caverna leonardesca

In età matura Leonardo sviluppò un’intima ossessione per i feti. È quanto emerge tra le righe da un celebre passo del Trattato della Pittura:

 

«Tirato dalla mia voglia di vedere le varie forme fatte dalla artifiziosa natura, ragiratomi infra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una caverna. Piegato le mie rene in arco e ferma la stanca mano sopra il ginocchio feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia, e spesso piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa, subito si destarono in me due cose, paura e desiderio: paura per la oscura spilonca; desiderio, per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa».

 

Se da un lato la postura fetale immaginata da Leonardo fa della caverna la metafora dell’utero materno, l’espressione ragiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli rimanda invece alla sensazione epidermica delle vibrazioni filtrate dal ‘doppio amniotico’ che forgiano la superficie corporea fetale alla stregua del suo stampo[16]. Per avere un’idea di stampo e di calco fetali, si osservi la versione tridimensionale in argilla di un famoso disegno fetale leonardesco[17] che – guarda caso! - rispecchia la posizione fetale assunta da Leonardo nella caverna. Delle due porzioni della placenta ‘esplosa’, quella di sinistra riporta l’impronta o ‘doppio amniotico’ del feto.

 


L’archetipo dell’Anima

Della dimestichezza di Leonardo con l’alchemico Rebis, simbolo dell’unione degli opposti, testimonia un bozzetto allegorico che rivisita il mitico essere in un’ottica ontogenetica[18]. Si tratta del disegno dell’androgino conservato alla Christ Church di Oxford che, come vedremo, simboleggia la coincidenza formale tra il feto e il ‘doppio amtiotico’. Leonardo  parte dal presupposto che:

 

1) in quanto contenuto nel liquido amniotico, al feto si addice la valenza simbolica ‘maschile’;

2) in quanto contenitore del feto, al ‘doppio amniotico’ si addice la valenza simbolica ‘femminile’.

 

Il giovane allo specchio metaforizza dunque il feto riflesso nel ‘doppio amniotico’, così come l’asta che impugna con l’altra mano all’altezza dell’ombelico metaforizza il cordone ombelicale (= principio maschile) che, a sua volta simboleggia l’organo genitale maschile che ‘penetra’ il ‘doppio amniotico’ (= principio femminile). L’idea di coincidenza oppositorum ‘maschio-femmina’ è emblematicamente rappresentata, al centro del disegno, dall’androgino bifronte, o alter ego del giovane. Mentre il profilo di sinistra  è di un vecchio barbuto che agita un ‘serpente’ (alias il cordone ombelicale[19]), il profilo di sinistra è invece di una donna che lascia traboccare dell'acqua da un recipiente evocando la cosiddetta ‘rottura delle acque’. Ci troviamo, quindi, alla fine del periodo nirvanico intrauterino segnalato, da un lato dall’uomo alle spalle del giovane colto nell’atto di accoltellarlo, dall’altro dalla colomba - alias lo ‘Spirito Santo’ – che volteggia sul capo dell'androgino, parodiatata dal rapace in picchiata sopra il diavolo che aizza due cani contro i simboli dell'androgino: l'acqua e il serpente.

 


Epilogo gnosticheggiante

L’allegoria leonardesca presenta delle sorprendenti analogie con la dottrina gnostica sethiana che ci è stata tramanda nella Refutatio dall’eresiologo romano Ippolito (III secolo). Questa dottrina postula tre principi cosmogonici: la Luce, la Tenebra con in mezzo il Pneuma (lo Spirito). Dalle infinite collisioni dei tre principi, dicono i Sethiani, nascono delle ‘impronte’, la prima delle quali ha la forma di un enorme ventre femminile con al centro l’omphalos (ombelico). Va allo storico delle religioni Giovanni Casadio il merito di aver intravisto nel termine greco omphalos (nella fattispecie il cordone ombelicale che si presenta attorcigliato come un serpente al momento della nascita) l’eufemismo di ‘fallo’ (om-phallos) che feconda la matrice femminile (l’Acqua Tenebrosa) simile a un vento tremendo a forma di serpente[20]. In ultima analisi, una vera e propria prefigurazione ante litteram della teoria sull’imprinting intrauterino![21] Ci era arrivato vicino lo psicanalista svizzero Carl Gustav Jung che, nell’acqua intravede l’oscuro specchio che poggia nel più profondo della psiche. L’acqua, egli afferma, è il simbolo più corrente dell’inconscio, e chi vi si specchia, come fece Narciso, rischia di diventare inconscio di se stesso: «è questo il pericolo primigenio oggetto di terrore per il primitivo che si trova ancora così vicino a questo pleroma. Perciò gli sforzi dell’umanità sono stati interamente volti al consolidamento della coscienza mediante i riti, le représentations collectives, i dogmi»[22].

 

Note

[1] Secondo la definizione classica data dai pionieri Spalding e Lorenz, l’imprinting rientra tra i dispositivi istintivi capaci di innescare un meccanismo irreversibile nell’ambito di una fascia temporale (fase sensibile) variabile a seconda della specie: se negli uccelli nidifughi che hanno un buon grado di autosufficienza poco dopo la nascita coincide con le prime ore dopo la nascita, negli uccelli nidicoli e per molti mammiferi può invece protrarsi fino a qualche settimana. Per Mario Manusia l’eventuale presenza di periodi sensibili nell’uomo, i giudizi degli studiosi non sono affatto concordi. Se da un lato la psicoanalisi freudiana pone l’accento su alcune fasi dello sviluppo infantile fino a cinque-sei anni d’età, dall’altro I. Johannesson e A. Ambrose insistono invece sull’sufficienza di prove per affermare l’esistenza una fase sensibile nella nostra specie (Cfr. Mario Manusia, Istinto e apprendimento negli animali, op. cit., p. 184).

[2] Luigi Pentasuglia, I volti della Gioconda, Ed. Basileus, Matera 2016, ISBN 9788890224591.

[3] Cfr. Richard Dawkins, Il racconto dell’antenato, Mondadori, Milano 2006, p. 32. Titolo originale: The Ancestor’s Tale.

[4] La qualità 'auto-riflessiva' del pensiero umano primitivo è per Jordan emblematicamente espressa da due pitture rupestri del Paleolitico superiore: una nella grotta di Cahuvet, in Francia, dove è rappresentato un essere per metà uomo e per metà bisonte; l’altra, in Germania, nella grotta di Höhlenstein-Stadel, dove troviamo invece un uomo con la testa di leone (cfr. Paul Jordan, Neandertal. L’origine dell’uomo, Newton & Compton, Roma 2001, p. 257).

[5] Cfr. Desmond Morris, La scimmia nuda: studio zoologico sull’animale uomo, Bompiani, Milano 2004. Titolo originale: A zoologist’s of the human animal.

[6] Già al quinto mese di gravidanza la parte più arcaica dell’orecchio interno fetale, denominata labirinto vestibolare, è in grado di stabilire un controllo su tutto il corpo, dai movimenti corporei fino alle sollecitazioni vibratorie provenienti dall’habitat intrauterino, che il feto percepisce a livello epidermico (cfr. Alfred Tomatis, L'orecchio e la voce, Baldini & Castoldi, Milano 1993, p. 132 e seg. Titolo originale: L'oreille et la voix).

[7]A.N. Meltzoff, M.K. Moore, Imitation of facial and manual gestures by human neonates, ‘Science’, 1977; O. Maratos, The origin and development of imitation in the firts six months of life, ‘Unpublished doctoral dissertation’, University of Geneva, 1973; I.C. Uzgiris, Patterns of vocal and gestural imitation in infans. In L.J. Stone, H.T. Smithand L.BMurphy (Eds.), The competent infant, London: Tavistock, 1974; C. Trevarthan, Descriptiveanalyses of infant communicative behavior. In H.R. Schaffer (Ed.), Studies in mother-infant interaction. New York: Academic Press, 1977.

[8] T.M. Field, R. Woodson, R. Greenberg, and D. Cohen, Discrimination and imitation of facial expressions by neonates, “Science”, 218, 179-81, 1982.

[9] Cfr. Jaques Lacan, Scritti, (a cura di Giacomo Contri), Einaudi, Torino 1974, pp.87 e seg. Titolo originale: Ecrits.

[10] «La maturazione della gonade nel piccione femmina - afferma Lacan - ha come condizione necessaria la vista di un congenere […] l’effetto è ottenuto mettendo semplicemente a portata dell’individuo il campo di riflessione di uno specchio. Allo stesso modo il passaggio, nella discendenza, della cavalletta del deserto dalla forma solitaria alla forma gregaria si ottiene esponendo l’individuo, in un certo stadio, all’azione esclusivamente visiva di un’immagine similare, a condizione che sia animata da movimenti di uno stile sufficientemente vicino a quelli della sua specie» (L. Margulis, D. Sagan, La danza misteriosa, Mondatori-De Agostinis, Milano 1995, p. 89 e 90).

[11] Un modello semplificativo di tale meccanismo è quello suggerito da D. R. Hofstadter che paragona l'autocoscienza umana al processo di 'video-retroazione' che si verifica quando una telecamera viene posta di fronte a uno schermo televisivo ad essa collegata; una condizione, questa, che produce una sequenza di schermi sempre più piccoli, posti uno dentro l'altro (cfr. Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante: una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll / Douglas R. Hofstadter, Adelphi, Milano 2011).

[12] Nel processo psicologico dell’empatia un ruolo determinante è riservato ai neuroni specchio, i regolatori del grado d'immedesimazione nelle azioni altrui scoperti nel 1991 dall'équipe dell'università di Parma, guidata da Giacomo Rizzolatti. Il deficit di empatia nei soggetti autistici è stato dimostrato dalla neuroscienziata statunitense Mirella Dapretto dell'università di Los Angeles. Applicando la tecnica della risonanza magnetica, la studiosa ha posto dieci piccoli psicotici di fronte a una serie di fotografie di volti arrabbiati, impauriti, tristi e depressi. Il risultato? I soggetti non hanno mostrato alcuna reazione di tipo empatico. Da qui l'infausta diagnosi: un deficit del sistema dei neuroni specchio (Cfr. Dapretto, M., Davies, M. S., PfeiferJ. H., Scott, A. A., Sigman, M., Bookheimer, S. Y., e al. (2005), Understanding emotions in others: Mirror neuron dysfunction in children with autism spectrum disordersNature Neuroscience, 9, 28–30)

[13] Come afferma Frances Tustin, le persone e gli oggetti esterni sono dagli autistici sperimentati «come un’estensione dell’attività corporea [tanto che] vedere e udire sono spesso sperimentati in modo tattile, come un essere toccati dall’oggetto» (Frances Tustin, Stati autistici nei bambini, Armando editore, 1981, p. 19 e 110. Titolo originale: Autistic states in children).

[14] Ibidem, p. 14.

[15] A corollario della breve indagine euristica sull'imprinting umano, riteniamo utile segnalare un proficuo campo d'indagine. Stupisce che la sindrome autistica mieta tra le sue vittime prevalentemente soggetti di sesso maschile con un tasso d'incidenza di 3 o 4 volte superiore rispetto al sesso femmine, tasso che può addirittura sfiorare le 20 volte nella variante di Asperger[15]. Il sospetto è che la causa possa annidarsi nella maggior secrezione di vernice caseosa nei feti maschi rispetto alle femmine. In altri termini, l'eccesso di vernice caseosa nei feti maschi andrebbe ad accentuare l'isolamento dagli stimoli extrauterini che, rappresentando l'unica vera variabile alle sollecitazioni sensoriali dell'habitat amniotico, sono perciò precursori dei fenomeni transizionali, indispensabili all'allentamento del legame madre-figlio e allo sviluppo psicologico dell'altro da Sé.

[16] Il brano in questione termina con una specie di indovinello. Serge Bramly ha infatti evidenziato alla fine del passo una specie di 6 (Serge Bramly, Leonardo da Vinci, Fabbri editore, Milano 2000, p. 75. Titolo originale: Léonard de Vinci). Un numero, il ‘6’, gravido d’implicazioni gnostiche, tanto più se riferito all’episodio evangelico lucano della Visitazione incentrato sulla visita della Vergine Maria all’anziana sua parente Elisabetta al sesto mese di gravidanza di Giovanni Battista. Si avalla questa tesi nel già citato saggio I volti della Gioconda di Luigi Pentasuglia, in cui sono decriptate le parafrasi artistiche leonardesche della Visitazione di San Luca (1:39-56): tra queste la Vergine delle rocce (Louvre) e il Gruppo di sant’Anna (Louvre).

[17] Foglio 18 dei ‘Quaderni di anatomia’ (Castello Reale di Windsor). La versione in terracotta del disegno leonardesco è di Michele Pentasuglia.

[18] Per gli alchimisti medievali il Rebis è l’essere ermafrodito sovente associato a Cristo e alla ‘Pietra filosofale’, la cui valenza archetipica non è sfuggita a un ‘aspirante gnostico’ d’eccellenza del calibro di Carl Gustav Jung che non fa mistero del fatto che: «in tempi più recenti nella mistica cattolica abbiamo sentito parlare di androginia di Cristo» (Cfr. Carl Gustav JungGli archetipi e l'inconscio collettivo, Boringhieri, Torino 1980, p. 167).

[19] L’associazione del vecchio al feto si deve al fatto che, a partire dal quinto mese, questi si ricopre di lanugo, una folta peluria che gli conferisce appunto l’aspetto vecchieggiante.

[20] Giovanni Casadio, Vie gnostiche all’immortalità, Morcelliana, Brescia 1997, p. 9.

[21] I tre principi LuceTenebra e Pneuma si prestanto rispettivamente a simboleggiare il feto, il liquido amniotico e il dispositivo istintivo dell’imprinting.

[22] C. G. Jung, Aion: ricerche sul simbolismo del sé, op. cit., p. 15. Titolo originale: Aion:Beiträge zur Symbolik des Selbst.