domenica 17 gennaio 2021

L'Architarra: fondamenti chitarristici del violinismo paganiniano

  


Luigi Pentasuglia

Seminario sul tema

L’ArchitarrA

Fondamenti chitarristici

del virtuosismo violinistico di Niccolò Paganini





Officina Musicale 52

‘String Summer Academy’

Brienza (Pz) 4 Agosto 2019

-o-

‘Fabbrica Del Suono’

Violin &  Cello Academy
Gravina di Puglia (Ba) 8 Settembre 2019


preemessa



Sono trascorsi più di vent’anni da quando pubblicai per le edizioni Diastema di Treviso il metodo Il segreto di Paganini. Mutazioni: tecnica comparata per violino e architarra (1997). Dell’architarra (da ‘archi + chitarra’), uno strumento d’ispirazione paganiniana da me concepito con finalità preminentemente pedagogiche, ci occuperemo più avanti dopo aver focalizzato alcune tappe storiche inerenti le concordanze organologiche, stilistiche ed esecutive tra strumenti a pizzico e strumenti ad arco.




Breve excursus storico
Come la filogenesi risale la linea evolutiva degli organismi vegetali e animali dalla loro comparsa sulla Terra a oggi, nei tempi decisamente più contenuti scanditi dai mutamenti culturali che hanno contraddistinto il Medioevo, l’Umanesimo, il Rinascimento, il Barocco e il Romanticismo, anche la storia degli strumenti musicali può, a suo modo, declinarsi in termini ‘evolutivi’. È il caso dell’antico fiedel assurto a capostipite di strumenti tanto variegati da rendere pressoché impossibile districarsi, in epoca medievale, tra «nomi uguali che indicano strumenti diversi e nomi diversi che indicano strumenti uguali» (G. Tintori). 



Nelle Cantigas de Santa Maria (XIII secolo) di Alfonso el Sabio re di Castiglia e León (1252-1284) - una raccolta di 427 canzoni monodiche in lode alla Vergine – è riprodotto uno strumento a pizzico con manico tastato armato di 4 corde: se da un lato le fasce laterali e la cassa anticipano la forma della vihuela a pizzico rinascimentale, la parentela con la famiglia delle viole trapela invece dal cavigliere a testa di animale mostruoso, per certi versi precursore del riccio della famiglia degli archi. La transizione del ‘riccio’ dalla vihuela medievale alla classe degli archi è apprezzabile in questa bella incisione di Anonimo Francese del secolo XVI.




Con un ampio balzo temporale in avanti, giungiamo in epoca barocca, quando l’affinità tra strumenti ad arco e a pizzico sembra culminare in due opere autografe di J.S. Bach per liuto catalogate come BWV 995 e BWV 1006a. Si tratta di trascrizioni, rispettivamente, della Suite in do minore per violoncello (BWV 1011) e della Suite in mi maggiore (BWV 1006) per violino: dunque, quanto basta ad avallare la tesi che i compositori barocchi assimilavano lo stile di scrittura degli archi a quello degli strumenti a pizzico. Lo conferma The art of Playing the Guitar or Cittra (1770) del violinista lucchese Francesco Geminiani (1678-1762): una raccolta di sonate da eseguire a libera scelta per ‘cetra e basso’ o per ‘violino e basso’. La partitura di ciascuna sonata è infatti suddivisa in tre ‘portate’: la prima contiene la parte del violino; la seconda (in alternativa al violino) l’intavolatura della cetra; la terza il basso continuo. 


Il primo metodo per chitarra
Un caso emblematico di ‘pedagogia comparata’ tra chitarra e strumenti ad arco è il primo metodo per chitarra redatto a Napoli dal violoncellista Federico Moretti nella seconda metà del ‘700. Si tratta delle Prime Lezioni Per Chitarra così suddivise: 1) le ‘Lezioni in mezza posizione’ (o ‘mezza manica) gravitano nell’ambito della I posizione chitarristica; le ‘Lezioni in prima posizione’ gravitano tra la I e II posizione chitarristica; le ‘Lezioni al primo manico’ tra la I e III posizione chitarristica; le ‘Lezioni al secondo manico’ tra la IV e V posizione chitarristica; le ‘Lezioni al terzo manico’ partono dalla VI posizione chitarristica. In ultima analisi, Moretti trasferisce alla chitarra le posizioni ‘diatoniche’ del violoncello a lui congeniali.

La mente ‘olografica’
Secondo il musicologo Thomas F. Heck, all’inizio dell’Ottocento la chitarra classica si rivela «più debitrice alla famiglia del violino, in termini di notazione e di dettagli costruttivi, che alla chitarra barocca. E non è certo un fatto accidentale che Giuliani e Sor fossero abili suonatori di strumenti ad arco in orchestra prima di passare alla chitarra. Prima furono musicisti, poi chitarristi. Qui sta un’importante ragione del loro successo». Un’affermazione tendenziosa che avalla la congettura per cui in Sor e Giuliani le rispettive competenze di strumentisti ad arco sovrastino, in quanto a potenzialità musicali, le rispettive competenze chitarristiche: si rinvanga così l’atavico pregiudizio emblematicamente espresso dal violinista Arnaldo Bonaventura che, agli inizi del secolo scorso, giudicava appunto la chitarra «uno strumento inferiore destinato per la natura sua ad accompagnare il canto popolaresco che a tradurre, come strumento di concerto, le manifestazioni dell’arte più alta e più nobile».
A fungere da contraltare provvede la nostra tesi incardinata nella teoria ‘neurofisiologico-analogica’ dell’eminente neurochirurgo e psichiatra austriaco Karl Pribram (1919-2015). A suo dire il cervello umano processa la realtà alla stregua di un ologramma che sfrutta il fenomeno dell’interferenza ottica di una sorgente laser per ottenere tutte le informazioni di luce emessa da un oggetto necessarie alla sua rappresentazione tridimensionale. 



Analogamente le immagini elaborate dalla nostra mente sono per Pribram il risultato dell’interazione multisensoriale (visivo, uditivo, motorio, propriocettivo, ecc.) di quanto costruiamo di volta in volta nella nostra mente. Ne deduciamo che, lo studio in parallelo della chitarra - o dell’architarra - e di uno strumento ad arco, ha il vantaggio psicologico rinforzante di sommare due ordini di specificità sensoriali: quelle ‘visivo-motorie’ della chitarra e quelle ‘uditivo-propriocettive’ degli archi. Ed è appunto ciò che il nostro metodo si prefigge: attualizzare quanto già i grandi chitarristi e strumentisti ad arco di primo Ottocento sperimentarono in modo del tutto spontaneo.

Una disavventura affatto propizia!
Di tal ‘impatto multisensoriale’ ne ho fatto incidentalmente esperienza quando, ancora molto giovane, frequentavo il corso di viola presso il Conservatorio di Castelfranco Veneto. Durante una lezione di esercitazione orchestrale dedicata a un concerto di Vivaldi per chitarra solista (originale per mandolino) e archi, in qualità di violista di fila mi capitò - forse perché emotivamente catturato dallo strumento solista a me caro - di confondere la tastiera della viola con quella della chitarra: in altri termini, leggevo lo spartito in chiave di violino piuttosto che di contralto, mentre la mano sinistra agiva come sul manico della chitarra, per giunta in dissonanza rispetto alla parte eseguita correttamente dal mio collega di leggio. Ad esempio, scambiavo il primo Re sulla quarta corda della viola con il Do terzo tasto/quinta corda della chitarra: due note che si scrivono allo stesso modo in chiavi diverse! Turbato dall’accaduto, il giorno seguente decisi di abbandonare lo studio della viola, ciò che provocò per contraccolpo un profondo desiderio d’indagare il personale trascorso di chitarrista/violista, ampliando gli orizzonti conoscitivi con ricerche e sperimentazioni pratiche oggi oggetto di trattazione.




Il caso ‘Paganini’
Non è dunque un caso che la convergenza tra la chitarra e gli strumenti ad arco sia giunta a piena maturazione proprio all’inizio dell’Ottocento, quando la letteratura per chitarra si amplia grazie al contributo di una folta schiera di ‘compositori-interpreti’ del calibro, sia dei già citati Sor e Giuliani, sia di Legnani, Carulli, Molino, Zani de Ferranti, Magnien e Paganini, tutti - non a caso! - dediti sia alla pratica sia della chitarra che di uno strumento ad arco. L’eclettismo che è alla base della loro formazione strumentale – a rigor del vero mai da essi esplicitata! - fa presumere che furono straordinari interpreti inconsapevoli delle ragioni stesse della loro straordinarietà! Tra costoro fa tuttavia eccezione: Niccolò Paganini (Genova 1782 – Nizza 1840) che, vale la pena rammentarlo, iniziò l’apprendimento musicale applicandosi contemporaneamente al violino e al mandolino, due strumenti - non per nulla! - accomunati dalla medesima accordatura. 


In verità, la peculiarità virtuosistica di Paganini è da ricercarsi soprattutto nell’aver egli preferito alla tecnica del mandolino quella della chitarra, come dimostrano l’adozione sul violino, sia del pizzicato corrispondente al legato chitarristico, sia dello stile cromatico altresì consono alla chitarra. Ne aveva compreso appieno la portata il compositore - nonché chitarrista! - Hector Berlioz che, in un celebre passo delle sue Memorie, così biasimava i violinisti dell’epoca: «passi ed arpeggi perfettamente eseguibili, dal momento che i chitarristi li eseguono, sono dai violinisti dichiarati ineseguibili […] Il poco che i nostri giovani violinisti sanno in proposito, l’hanno imparato da soli dopo l’apparizione di Paganini».

La questione della ‘scordatura’
Nei primi dell’Ottocento era prassi diffusa la scordatura strumentale, un espediente tecnico che Paganini utilizzò abilmente sul violino per sbalordire i critici e i violinisti della sua epoca. Come ha opportunamente rilevato il musicologo e violinista Arnaldo Bonaventura: «il dare al violino un’accordatura diversa da quella consueta permetteva a Paganini di eseguire passi altrimenti ineseguibili […] Ognuno comprende di fronte a quali difficoltà si dovesse trovare l’artista, costretto a calcolare mentalmente i rapporti intercedenti tra le varie corde nel loro disaccordo […] ed eseguire ciò nonostante i difficili passi, rapidamente, con sicurezza, senza incertezze e senza esitazione. Qui veramente, se il fatto è vero è del meraviglioso o, per meglio dire, del miracoloso, come ben si può immaginare chiunque conosca il violino o abbia pratica del suo meccanismo».
In verità, la ‘scordatura’ violinistica paganiniana rappresenta piuttosto un escamotage improvvisativo che contrasta con la pratica ‘scritta’ della ‘scordatura’ vera e propria. In altri termini, la scordatura effettuata all’impronta da Paganini travalica la consuetudine epocale, ma che pure egli rispetta nelle composizioni per chitarra, come nel caso del Minuetto n° 28 (o n° 20 - Ed. Zimmermann) che prevede la chitarra accordata in ‘Viola d’Amore’: Re [VI corda], Sol [V corda], re [IV corda], sol [III corda], si [II corda]re [I corda].

Non dimentichiamo infine che, tra le sperimentazioni ottocentesche riguardanti lo scambio delle accordature strumentali, un posto di primo piano spetta all’arpeggione, una sorta di violoncello accordato come la chitarra. Inventato da J.G. Staufer nel 1823, raggiungerà la massima notorietà con la celebre Sonata in la minore per arpeggione e pianoforte (D. 821) di Franz Schubert.

Paganini l’illusionista
Sulla scordatura violinistica di Paganini la tesi che avanziamo è che egli sostituisse la normale accordatura dello strumento con quella parziale della chitarra: ecco dunque che, in simili frangenti, pur agendo da violinista Paganini pensava di fatto da chitarrista! Già il frequente ricorso all’accordatura del violino ‘Sib [VI corda] - mib [III corda] ’  / ‘sib [II corda] - mib [I corda]’, gli consentiva di eseguire vere e proprie trasposizioni di passi bicordali preparati sulla chitarra, ovvero sfruttando gli intervalli di quarta tipici di questo strumento (esempio 1). Ma è soprattutto l’espediente d’innalzare la quarta corda da Sol a Si bemolle a  stimolare il nostro interesse: infatti, se la IV corda in Sib forma con la III un intervallo di 3a minore, abbassando di un tono la II corda (da La a Sol) otteniamo i rapporti intercedenti tra le prime tre corde della chitarra ‘Sol-Si-Mi’ (sul violino ‘Sib-Re-Sol’); la presenza ‘scomoda’ dell’intervallo di 6a tra la prima e la seconda corda, era quindi da Paganini superata con la geniale spettacolare trovata dell’ ‘incidentale’ rottura del cantino (esempio 2).


La ‘contro viola’ di Paganini
Paganini sosteneva di usare il violino solo durante i concerti, mentre per lo studio si sarebbe servito di un violino di grandi dimensioni, che gli avrebbe conferito maggiore elasticità e forza nelle dita. Che egli provasse una forte attrazione per le viole di grande dimensioni è testimoniato dalla singolare richiesta all’amico genovese Luigi Guglielmo Germi: «Se mi occorresse la tua grandissima viola per servirmene a Londra me la inoltreresti? Detto strumento lo nominerei ‘contro viola’». Il violinista inglese Charles Severn dichiara di aver effettivamente suonato in quell’occasione accanto a Paganini: «Ho suonato – egli scrive – allo stesso doppio leggio con lui, quando eseguì le variazioni per il ‘tenor’, uno strumento così grande che il suo braccio era tutto diritto».
Se per un verso non è azzardato assimilare le proporzioni della ‘viola/tenor’ paganiniano a quelle della chitarra ottocentesca, decisamente più ridotte rispetto a quelle attuali, per altro l’attaccamento ‘morboso’ di Paganini verso le proprie composizioni per chitarra, così come la decisione di non esibirsi mai in concerto con tale strumento, tradiscono l’intenzione di occultare la fonte stessa del ‘trucco’ violinistico. Di fronte a un tal rischio dovette presumibilmente trovarsi quando, nel 1836, fu in procinto di promuovere un concerto a Torino in duo con il chitarrista-violinista Luigi Rinaldo Legnani – detto il ‘Paganini della chitarra’! - il cui spirito emulativo del grande violinista genovese è attestato in particolar modo dai suoi 36 Capricci op. 20 per chitarra. Il fatto che tal concerto non ebbe luogo, rafforza il nostro convincimento che, dal confronto tra le rispettive tecniche strumentali, un accorto osservatore ne avrebbe potuto rilevare l’intrinseca complementarietà e interscambiabilità, dissolvendo di converso l’alone di mistero che aleggiava sui due impareggiabili interpreti.

 ‘Comunicazione sulle prime idee della scala’
Paganini non fondò una sua scuola violinistica né impartì lezioni regolari, eccezion fatta per il violoncellista napoletano Gaetano Ciandelli e il violinista genovese Camillo Sivori che, dal canto suo, dichiara di aver ricevuto dal grande virtuoso genovese, all’età di soli sette anni, una misteriosa ‘comunicazione’ sulle ‘prime idee della scala’. A rammentarlo è sempre Arnaldo Bonaventura, il convinto detrattore della chitarra che, paradossalmente, senza volerlo, c’instrada sui presupposti chitarristici del virtuosismo violinistico paganiniano. Lo fa menzionando il metodo rivoluzionario introdotto agli inizi del secolo scorso dal boemo Sévcik (1852 –1934), basato sullo studio anticipato da parte dei violinisti in erba della ‘scala cromatica’ in cui, egli scrive,

«le note son tutte all'ugual distanza di un semitono; onde anche le dita vengono a trovarsi tutte accanto fra loro e nella medesima posizione su tutte le corde, ciò che facilita immensamente l'intonazione e l'acquisto dell'agilità e, in generale, il possesso della tecnica, come dimostrano i grandi risultati ottenuti dai giovanissimi e già celebrati suoi allievi. Non potrebbe darsi pertanto che il segreto di Niccolò Paganini consistesse in qualche cosa di simile? Forse anch'egli aveva immaginato e introdotto nella tecnica dello strumento e nel metodo innovazioni radicali e profonde, per le quali lo studio veniva ad essere notevolmente agevolato e che non volle o non poté rivelare».

L'ArchitarrA

Si fa così concreta l’ipotesi che, tra i procedimenti tecnici introdotti ‘in proprio’ da Paganini nell’arte violinistica, ci sia l’utilizzo mirato del ‘principe degli strumenti cromatici’: la chitarra appunto! Ed è confidando in tale intuizione che ho redatto Il segreto di PaganiniMutazioni: tecnica comparata per violino e architarra; un metodo che potremmo definire ‘cromatico’ in senso lato, giacché le coppie di varianti di diteggiatura della mano sinistra proposte in ciascun esercizio conservano inalterati i rapporti intervallari tra le dita della mano sinistra, di volta in volta optando tra una delle seguenti quattro modalità:

1)                  Semitono (tra 1° e 2° dito della mano sinistra) / Tono (tra 2° e 3° ) / Tono’ (tra 3° e 4° );
2)                  (tra 1°-2° m.s.) / S (tra 2°-3° m.s.) / T’ (tra 3°-4° m.s.);
3)                  (tra 1°-2° m.s.) / (tra 2°-3° m.s.) / S   (tra 3°-4° m.s.);
4)                  (tra 1°-2° m.s.) /  (tra 2°-3° m.s.) / ’ (tra 3°-4° m.s.).

Come dicevamo ogni esercizio contempla due varianti di diteggiatura ‘complementari’ o ‘speculari’ esposte in prima posizione, quindi con cambiamenti di posizione: nei cambiamenti di posizione l’ultimo dito di ogni variante funge sempre da riferimento negli spostamenti sia scendenti che discendenti, come si evince dal seguente esempio: 


In appendice sono riportati gli incipit di tutti gli esercizi corredati delle diteggiatura della mano destra necessarie per la loro esecuzione sull’architarra. Una novità assoluta è la corrispondenza delle dita della mano sinistra 123 e 4, rispettivamente al pollice, indice, medio e anulare della mano destra. Si ottiene così il duplice vantaggio di sincronizzare le due mani e favorire il giusto orientamento della mano destra rispetto alle corde. Raccomandiamo che per un corretto approccio all’architarra da parte degli strumentisti ad arco è necessario che pongano la massima attenzione sull’impostazione della mano destra, ciò che richiede il concorso di un maestro di chitarra classica che, dal canto suo, potrà familiarizzare con il ‘metodo’ usufruendo della versione per chitarra disponibile on-line:

Le 8 dita. Tecnica comparata per chitarra: (http://www.pentasuglia.it/member/le-otto-dita/).




Conclusione
In una lettera al suo segretario Paganini dichiarava: «Io ho il mio metodo personale e secondo questo dispongo le mie composizioni. Per suonare quelle degli altri bisognerebbe che le accomodassi alla mia maniera: faccio più presto a scrivere un pezzo nel quale lascio piena libertà al mio sentimento musicale». È il caso dell’Harold en Italie di Berlioz, una composizione orchestrale ispirata alla saga autobiografica di Byron Chide Harold’s Piligrinage, contenente numerosi passi per viola solista dall’autore dedicati a Paganini. Declinando l’invito, quest’ultimo disapprovò le lunghe pause nella parte della viola dichiarando alquanto istrionicamente: «Qui non c’è abbastanza da fare per me. Io dovrei suonare tutto il tempo»! Un’affermazione, questa, a conferma di come Paganini avesse dato il meglio di sé destreggiandosi con la mano sinistra soprattutto improvvisando nell’ambito delle sue stesse composizioni: nell’accingersi a eseguire le composizioni altrui egli ‘mostrava la corda’. In definitiva, le mie deduzioni, più che togliere credibilità alle capacità strumentali di Paganini, vogliono, semmai, restituire verosimiglianza a quel complesso di ciarlatanate attribuito al violinista genovese. Sotto un profilo musicologicamente più corretto, infatti, le deliranti affermazioni, fatte qua e là da Paganini nel suo vagabondare, appaiono piuttosto metafore della sua complessa personalità musicale. In altri termini, egli non si sarebbe mai espresso in malafede, quanto piuttosto avrebbe celato il suo segreto come l'illusionista cela la realtà effettiva: suscitando nello spettatore l'impressione di trovarsi a contatto con la realtà di un puro violinista, egli agiva solo apparentemente da violinista, mentre pensava decisamente da chitarrista e, pertanto, in maniera fuorviante per gli ascoltatori.



Riferimenti bibliografici:

-          Luigi PentasugliaIl segreto di Paganini. Mutazioni: tecnica comparata per violino (o viola) e architarra <http://www.pentasuglia.it/member/il-segreto-di-paganini-metodo-per-violino-e-viola/>

-          Luigi PentasugliaLe 8 dita. Tecnica comparata per chitarra (versione per chitarra del metodo Il segreto di Paganini. Mutazioni: tecnica comparata per violino (o viola) e architarra)

-          Luigi PentasugliaIl segreto di Paganini. Fondamenti chitarristici del virtuosismo violinistico di Niccolò Paganini. <http://www.pentasuglia.it/member/il-segreto-di-paganini/>







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