LEONARDO
DA VINCI E
IL BLUFF DEL PAESAGGIO DELLA VALDARNO
di Luigi
Pentasuglia
Come una veduta «a volo d'uccello» è comunemente letto il soggetto di un ben noto disegno
giovanile di Leonardo da Vinci, conosciuto come Paesaggio con la
veduta dell'Arno[1].
Lo stile naturalistico dell'opera, che a prima vista presagisce il gusto paesaggistico giorgionesco, suggerisce invece a Simona Cremante una sorta d'impressionismo ante litteram:
«il veloce tratteggio, orizzontale o curvo, con cui sono accennati gli alberi – ella afferma - restituisce la percezione atmosferica delle chiome che sembrano vibrare nell’aria e nella luce. Il disegno potrebbe anche essere stato eseguito da Leonardo direttamente sul posto, all’aperto (en plen air) visto che è eseguito a penna senza traccia sottostante, in un giorno d’estate di cui lui stesso ha registrato la data nell’iscrizione in alto a sinistra: dì di Santa Maria della neve / addì 5 d’hagosto 1473»[2].
Dal canto suo, Peter Hohenstatt, pur giudicando il bozzetto come «la prima rappresentazione paesaggistica dell’arte italiana che riproduca un paesaggio realmente esistente in un disegno libero», non esita a denunciarne le incongruenze:
«la rappresentazione della linea delle montagne con il castello, il cui tratteggio copre parzialmente il paesaggio disegnato prima è - egli scrive - un’aggiunta posteriore di Leonardo. Essa non è una rappresentazione dal vero di un luogo […] Anche la cascata, notevolmente accentuata, fu aggiunta solo in seguito. Essa è resa con tratti semplici e forti che lasciano presumere che si tratti di un’osservazione fittizia»[3].
Per il leonardista Carlo Pedretti, invece, non solo quel disegno ritrae realmente un paesaggio toscano, ma presenta addirittura tratti in comune con lo sfondo della Gioconda, nonostante la presenza in quest'ultima di dettagli paesaggistici tipicamente alpini. Il paradosso è da lui superato ipotizzando la «doppia ambientazione» della Gioconda; in altri termini, Leonardo potrebbe aver in quel dipinto,
«adottato un approccio sintetico al problema prospettico di comprimere un vasto territorio nello spazio ristretto di un dipinto, che per di più necessita di uno sfondo a connotazioni simboliche più che di un’ambientazione di accuratezza topografica»[4].
Ebbene, di «connotazioni simboliche» - sia pure, come vedremo, condite di sarcasmo! - è intriso il disegno giovanile leonardesco, per quanto siano rimasti fino a oggi invisibili agli occhi degli esperti, diventati essi stessi, loro malgrado, vittime del bluff genialmente ordito da un ventunenne artista, evidentemente ancora in vena di scherzare. Altro che Valdarno! qui piuttosto ci troviamo di fronte a un Leonardo 'illusionista', che gioca, occultando teste antropomorfe e zoomorfe nelle rocce e nella vegetazione. Ecco come.
Ai piedi delle due colline diafane e
filiformi poste centralmente in alto, s'intravede la sagoma di un cavallo
sdraiato che ha per dorso la lunga collinetta ombreggiata e per testa lo
spuntone di sinistra su cui sono leggibili la criniera, la cavezza e le orecchie
ben tese.
Senza soluzione di continuità,
l'occhio del cane simula l'orecchio di un agnello.
Incollato alla gola del cane compare
abbozzata la testa di un leone, il cui muso e criniera sono resi plasticamente
dalle fronde di tre alberi sottostanti, mentre l'occhio è visibile a destra
della striatura bianca più bassa.
Al centro dell'affaccio a 'U' sulla
vallata, si scorge la sagoma di una di una volpe.
Il corpo della volpe si fonde in
basso con la testa gigantesca di un gatto.
Nell'angolo sinistro in basso - in
diagonale con la testa di gallina - è accennata la testa di un pulcino in
posizione frontale.
All'illusionismo "zoomorfo" della parte destra e bassa del paesaggio, fa da contraltare quello quasi interamente "antropomorfo" della parte sinistra.
Una formidabile testa di leonessa
con la zampa allungata sul bordo del laghetto, campeggia ai piedi della
montagna di sinistra.
Il muso della leonessa dà adito a
una seconda interpretazione: si tratta di una
testa umana completamente rovesciata all'indietro (si noti la
protuberanza del pomo d'Adamo).
La testa del pesce riserva a sua
volta una sorpresa: una seconda testa umana adagiata su un lato. Se la capigliatura
è evocata dalla folta vegetazione a destra, il profilo si evince dalla fascia chiara
curva in basso che delimita, a partire da destra, la fronte, quindi il grande
naso ricurvo di cui è visibile una narice.
Una terza testa umana, vista di
spalle, si trova sopra la precedente: essa ha per capigliatura la vegetazione
sottostante la cinta muraria del castello; il viso è ritratto nella classica modalità
del "profilo perduto", vale a dire che di esso si scorgono solo le
curve della fronte, dello zigomo e della gola.
In conclusione, a parte la pianura sullo sfondo,
nulla del paesaggio di Leonardo può rapportarsi a un
ambiente reale, tanto meno a quello della Valdarno di cui - al più - è la parodia. Anzi:
forse sarebbe più giusto definire
questo lavoro una vera e propria 'presa per i fondelli' per l'osservatore
disattento. Tutto ciò perché? Per un ultimo dettaglio. Dove si trova? Precisamente nel punto
da cui siamo partiti: ossia, delle due colline in alto al centro, il dettaglio è in quella più in basso.
[1]L'opera: Paesaggio
con la veduta dell'Arno (1473), n. 1 [8Pr], Firenze, Gabinetto Disegni e
Stampe degli Uffizi.
[2]
Simona Cremante, Leonardo da Vinci,
Milano 2005, p. 254.
[3]
Peter Hohenstatt, Leonardo da Vinci,
Milano 2000, 18.
[4]
Pietro C. Marani, Leonardo. La Gioconda, Giunti 'Art Dossier', Firenze 2003, p.
6.
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