Presentazione
in streaming del 18 marzo 2021
A
cura della libreria ‘L’alchimista’ (BG)
1.
Nel saggio Gli artisti del Tempio: dal
codice di Piero alla squadra e compasso (Edizioni Basileus, Matera-2019)
affronto con piglio musicologico alcuni dipinti tra i più enigmatici del
Rinascimento, in particolar modo di Piero della Francesca. È questa infatti un’epoca
fortemente ancorata alle Arti Liberali del ‘Trivio’ (grammatica, retorica
e dialettica) e del ‘Quadrivio’ (aritmetica, geometria, musica
e astronomia) in cui la Musica riveste un ruolo paritetico alle
altre discipline.
2.
L’assunto di partenza sono che le
proporzioni del Tempio di Salomone riportate nel Primo Libro dei Re,
proporzioni che consentono di risalire al sacro simbolo pitagorico della
Tetraktys. Al pari del celebre simbolo taoista T’ai chi, espressione dell’equilibrio
dei principi polari Yang (maschile) e Yin (femminile), il simbolo
parimpari della Tetraktys concilia i 10
punti costitutivi con la forma del tri-angolo.
3.
Entriamo nel merito. La Bibbia riporta le
seguenti misure della facciata del Tempio di Salomone: 20 cubiti di larghezza
e 30 cubiti di altezza; ai lati si ergono le ali del
magazzino, disposte su tre piani a riseghe, di larghezza pari a: pianterreno 5
cubiti, piano centrale 6 cubiti, piano superiore 7 cubiti.
4.
All'interno dell'edificio, sul fondo della
navata, è posta la cella cubica di 20 cubiti, o Sancta Sanctorum,
destinata a ospitare l’Arca dell’Alleanza. Sono in essa collocati due cherubini
di legno d’ulivo alti 10 cubiti le ali spiegate le cui estremità interne
si toccano; ciascun’ala è lunga 5 cubiti: da un'estremità all'altra di
ogni coppia d'ali si contano 10 cubiti. Ne consegue che ciascun
cherubino delimita uno spazio quadrato giusto la metà della cella del Sancta
Sanctorum.
5.
Nulla tuttavia il sacro testo dice riguardo
alla posizione delle colonne Jachin e Boaz alte 18 cubiti
che Salomone dispose ai lati dell’ingresso. Assegnando a esse l’ubicazione dei
cherubini (figura A) siamo in grado di costruire un triangolo equilatero
pressoché perfetto tracciando dalle estremità dell’intera base della facciata
due rette oblique passanti per i punti apicali delle colonne (figura B).
Disegnando quindi le diagonali interne alle colonne e l’orizzontale che passa
per il punto d'intersezione e interseca i lati obliqui del triangolo, ricaviamo
i 10 punti equidistanti del Tetraktys. Ebbene, come poteva
Salomone familiarizzare con la Tetraktys tre secoli prima di Pitagora?
Piuttosto è vero che la redazione dei Libri dei Re è d'epoca pitagorica!
6.
Un esempio di cristianizzazione del
‘Tempio-Tetraktys’ lo ravvediamo nel simbolo cristiano del Chrismon (☧) che, stando alla
leggenda, l’imperatore Costantino ordinò alle truppe di apporre sugli scudi
alla vigilia della vittoriosa battaglia contro il rivale Massenzio (28 ottobre 312).
Realizzato sovrapponendo le lettere greche X (chi) e P (rho) -
inziali di Χρίστος (Christos) - il Chrismon si rivela, di
fatto, la quintessenza geometrica della Tetraktys, nonché emblema del nuovo
corso politico impresso da Costantino, il cesaropapismo, che fa
dell’imperatore il capo supremo della Chiesa cristiana.
7.
La politica cesaropapista fu adottata dai successori
bizantini di Costantino che la trasmisero agli imperatori del Sacro Romano
Impero come testimoniano i mosaici del duomo di Monreale che effigiano gli
antenati di Federico II di Svevia, Ruggero II degli Altavilla e Guglielmo II di
Sicilia, nell’atto d’essere incoronati direttamente da Cristo senza la
mediazione della Chiesa.
8.
Autolegittimatisi eredi del divino
sacerdozio veterotestamentario che fu dei re gerosolimitani Davide e Salomone,
gli imperatori svevi Hohenstaufen elaborarono un proprio codice di riferimento
al ‘Tempio-Tetraktys’ incentrato sulle colonne Jachin e Boaz. Lo si evince dall’enigmatico
cartiglio a doppia banda imbracciato dall’imperatore Enrico VI padre di
Federico II di Svevia.
9.
Per risalire al codice degli Hohenstaufen sarà
tuttavia necessaria una breve premessa pitagorico-musicale. Sappiamo che i
Pitagorici calcolarono il valore dei suoni della scala musicale servendosi di
uno strumento di misurazione detto monocordo. Si tratta di una semplice
tavoletta alle cui estremità sono fissati due ponticelli che tendono una corda
armonica (figura A - punti x e y); un terzo ponticello intermedio
mobile (figura B - punto z), dimensiona la lunghezza corda a seconda
dell’intervallo musicale che s’intende ottenere.
10.
Se ad esempio posizioniamo il ponticello
intermedio a 2/3 della lunghezza della corda calibrata sulla nota Do
(figura A), otteniamo la quinta nota Sol della scala - Do1-Re2-Mi3-Fa4-Sol5 - (figura B): ne consegue che
il rapporto 2/3 indica il rapporto geometrico dell’intervallo di
quinta.
11.
Circostanza vuole che il rapporto
geometrico 2/3 dell’intervallo di quinta sia la distanza di
ciascuna colonna del ‘Tempio-Tetraktys’ dall’estremità più lontana della base
(figure A e B): da qui il codice ‘VV’ (quinta-quinta) associato alle
colonne salomoniche adottato dagli imperatori svevi Hohenstaufen (figura C).
12.
Lo conferma l’enigmatico cartiglio
imbracciato da Enrico VI in cui il codice ‘VV’ si trova criptato nelle
appendici delle due bande: alla prima ‘V’, capovolta, allude l’orecchia della
fascia destra;
13.
alla seconda ‘V’ l’orecchia della fascia
sinistra che il sovrano strige platealmente tra l’indice e il pollice.
14.
Un secolo e mezzo dopo la capitolazione della
casata sveva Hohenstaufen un rigurgito di ghibellinismo in chiave filobizantina
ha luogo nella penisola in occasione del concilio fiorentino del 1439. Ne fu
promotore l’erudito monaco basiliano Basilio Bessarione allievo di
Gemisto/Pletone caposcuola della celebre scuola filosofica greca di Mistrà.
Giunto in Italia al seguito della delegazione bizantina, eletto cardinale della
curia romana si adoperò politicamente assecondando le mire papali di
riconciliazione delle chiese d’Oriente e d’Occidente sotto l’egida romana, per
quindi ambire alla restituita a Bisanzio la titolarità del Sacro Romano Impero
a Bisanzio.
15.
Bessarione contava soprattutto sull’appoggio
di alcuni potentati italiani che, come suggerisce la bizantinista Silvia
Ronchey, costituivano una sorta di Grande Oriente filobizantino con a
capo il signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta, ciò in forza della
parentela con Cleopa Malatesta andata in sposa a Teodoro II Paleologo
predestinato al trono di Costantinopoli.
16.
Un riflesso dell’influenza culturale di
Bessarione su Sigismondo Malatesta è la sigla personale del signore di Rimini replicata
centinaia di volte nel Tempio Malatestiano. Il codice ‘VV’ Hohenstaufen si
ripresenta infatti camuffata nelle prime due lettere sovrapposte di Sigismondo
($): se da un lato la S è assimilabile a un 5, la I
allude a una colonna del Tempio.
17.
Il codice ‘VV’ trova quindi completamento nella
duplicazione della sigla sullo stemma che - chi può negarlo! - prefigura
l’originario sigillo monetario statunitense, nella fattispecie caratterizzata
da una doppia linea trasversale in luogo delle colonne del ‘Tempio-Tetraktys’.
18.
Tutto diventa chiaro osservando il celebre
affresco pierfrancescano nella cella dinastica del Tempio Malatestiano. Sigismondo
è ritratto di profilo, inginocchiato al centro della scena, che prega l’omonimo
suo protettore san Sigismondo re dei Burgundi. Che si tratti di un giuoco al
doppione lo provano le due lesene ai lati del signore riminese che, come
sostiene Birgit Laskowski, in deroga alla consuetudine dell’epoca (si veda la Trinità
di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze) presentano «solo cinque
scanalature anziché sei». L’allusione è al codice ‘VV’, ribadito dal
gesto delle mani giunte di Sigismondo (‘5 dita su 5 dita’) e dallo
stemma al centro della trave.
19.
A
ciò si aggiunge la visione parziale dei verdi festoni laterali (in alto sotto
la trave) che presagisce uno sviluppo del fondale in almeno tre campate. In
questo modo le rispettive collocazioni delle lesene centrali, a 2/3 dalla
lesena esterna più lontana, ribadiscono il codice ‘VV’ associato al principio
di coincidentia oppositorum garantito
dal sovrapporsi delle misure controlaterali delle lesene stesse nel terzo
mediano del fondale.
20.
Il principio di coincidentia
oppositorum è altresì ribadito dai due segugi, uno bianco e l'altro scuro
orientati in senso opposto sotto la lesena di destra, controbilanciati in corrispondenza
della lesena sinistra, dai simboli dello scettro e del globo nelle
mani di San Sigismondo, due simboli, questi, a loro volta assimilabili formalmente
ai principi maschile e femminile.
21.
Ma c’è di più. Le curve dorsali dei
levrieri ricalcano il grafico degli intervalli di quinta riportato nel diagramma
del pitagorico Filolao, ossia i rapporti 6/9 e 8/12 riducibili a 2/3 (alias l’intervallo
di quinta).
22.
Non è forse il diagramma di Filolao che circa
mezzo secolo dopo Raffaello inserirà insieme alla Tetraktys nella Scuola di
Atene?
23.
Ed è ancora il principio di coincidentia oppositorum che riemerge, sopra
i due levrieri, condensato nell’immagine della torre-maschio (alias il
principio maschile) dentro la finestra tonda (alias il principio
femminile). Il fatto che le due torri centrali siano a 2/3 dalla torre
esterna più lontana fa sì che ammicchino alle lesene centrali dell'affresco.
24.
La Flagellazione di Urbino è senz’ombra
dubbio il più enigmatico dipinto di Piero della Francesca e forse di tutta l’arte
rinascimentale. A destra, in primo piano, tre uomini sembrano intenti a
dialogare incuranti del dramma della flagellazione. Tra gli esperti sopravanza
la tesi che l’uomo a destra del terzetto in abiti orientali sia il cardinale
Bessarione che esorta due principi occidentali ad aderire alla crociata voluta
da Pio II contro i musulmani usurpatori di Costantinopoli, nel dipinto assimilata
a Cristo flagellato.
25.
Stando alla tesi più in voga, il giovane
al centro del terzetto sarebbe il duca di Ubino Oddantonio fatto assassinare
forse su mandato del fratellastro Federico da Montefeltro: da qui l’analogia tra
l’innocente Oddantonio e Cristo flagellato. Dal nostro punto di vista si tratterebbe
invece del signore di Cesena Novello Pandolfo Malatesta, fratello di Sigismondo,
nonché intimo amico di Bessarione.
26.
Si osservi a riguardo la sorprendente somiglianza
tra il giovane della Flagellazione e il
ritratto di Novello Malatesta realizzato da Cristofano dell'Altissimo sulla
scorta del medaglione di Pisanello. L’ipotesi è che alla morte di Novello sua
moglie Violante, sorella del povero Oddantonio assassinato, abbia donato la
tavola alla cattedrale di Urbino per onorarne la memoria. Del resto, se pure
volessimo accordare la tesi dell’identificazione del giovane con Oddantonio, il
dono della Flagellazione da parte di
Violante alla città di Urbino avrebbe dovuto vincere le non poche resistenze
del signore di casa in odore di fratricidio!
27.
Quanto all’uomo del terzetto in primo
piano vestito di prezioso broccato condivido la tesi dello storico Carlo
Ginzburg: si tratta di Giovanni Bacci, il committente degli affreschi
pierfrancescani in San Francesco ad Arezzo che compare, sia nel polittico della
Madonna della Misericordia di San Sepolcro, sia ne’ La battaglia
di Eraclio e Cosroe di Arezzo. Considerando che nel 1461 Novello Malatesta
nominò Bacci podestà di Cesena, è dunque plausibile che quest’ultimo possa
essersi disobbligato donando la Flagellazione di Piero al suo
benefattore.
28.
Stabilita l’identità dei tre personaggi a
destra, resta da valutare l’eventuale loro legame con la scena della
flagellazione. Una chance l’offre la scritta Convenerunt in unum che,
nel 1839, il pittore tedesco Johan David Passavant dichiara di aver notato in
qualche punto del dipinto (forse sulla cornice andata persa). Si tratta di un’estrapolazione dal
passo degli Atti degli Apostoli riferito a Erode Antipa e Ponzio Pilato convenuti
contro Cristo.
29.
Per comprendere se l’espressione Convenerunt
in unum contenga la chiave di volta di un rebus partiremo dalla planimetria
del portico del pretorio di Pilato redatta da Wittkower e Carter. Le sezioni
delle 4 colonne sul limitare esterno del portico rimandano ai punti del
lato della Tetraktys, così come le due sezioni centrali ai lati di Cristo,
rispettivamente a 2/3 dalla sezione più lontana, alludono al codice ‘VV’
che giustifica il cassettone del soffitto inondato di luce solare in
corrispondenza di Gesù.
30.
la frase Convenerunt in unum potrebbe
dunque riguardare qualche tipo di relazione tra Ponzio Pilato, Erode Antipa e
il codice ‘VV’ incarnato da Cristo flagellato. Effettivamente una relazione esiste
per davvero ed è di ordine semantico. Il punto di svolta sono i nomi dei due
potentati: se da un lato ‘Pi/lato’ è assonante con l’essere costui ‘di lato’ a
Cristo, dall’altro lo scarto semantico ‘anti’ della stirpe Anti/pa rimanda al
prefisso latino ante,
‘davanti’, nella fattispecie riferito a Erode ‘davanti’ a Cristo. Dimostreremo
ora come queste tre figure siano gli alter
ego dei tre personaggi a destra in primo piano.
31.
Nel caso di Bessarione l’alter ego è Erode Antipa. Infatti, così come
Bessarione fissa lo sguardo davanti a sé tenendo la mano sinistra sollevata con
le 5 dita ben distese, allo stesso modo Erode guarda Cristo frontalmente
mimando il gesto della mano sinistra di Bessarione. È questa la prima V del
codice.
32.
Pilato è alter ego di Giovanni
Bacci. La seconda ‘V’ del codice è criptata nei 5 supporti di metallo
del portastentardo sulla facciata dell'edificio di lato a Bacci, bilanciati
dai 5 gradini e altrettanti montanti della scalinata di lato a
Pilato.
33.
Una seconda chance interpretativa è
incentrata sull’orientamento dei piedi scalzi di Novello controfigura di
Cristo. Come Erode ha Cristo di fronte anche Novello ha le 5 dita del piede destro orientati frontalmente
ai piedi di Bessarione. Viene così ribadita la prima V del codice cristico.
34.
– Come Pilato ha Cristo di lato a
Cristo, anche Novello ha le 5 dita del piede sinistro orientati lateralmente ai piedi di Bacci. Viene
così ribadito la seconda V del codice cristico.
35.
Persino i due flagellatori sono - non a
caso! – l'uno di lato e l'altro di fronte a Gesù: ciò perché gliele
stanno suonando di santa ragione alludendo in forma velatamente
dissacratoria al codice musicale 'VV' incarnato da Cristo.
36.
Il ‘Grande Oriente filobizantino’
bessarioneo farà proseliti a Venezia: la ‘seconda Bisanzio’ come l’appellava
Bessarione. è alla città lagunare
che fece dono di molti suoi manoscritti in lingua greca e latina destinati a
formare il nucleo umanistico della Biblioteca Marciana.
37.
Testimonia l’influenza culturale
bessarionea sull’intelligentia veneta la ritrattistica giorgionesca. Alcuni di
questi ritratti presentano il codice ‘VV’ sul frontale del ‘muro con sbalzo’
tipico di questa produzione artistica. Ebbene, esiste forse un nesso tra il giorgionesco
‘muro con sbalzo’ e il codice salomonico ‘VV’?
38.
Se da un lato i tratti verticale e
orizzontale inferiore del muro alludono al numero ordinale L (50),
dall’altro il tratto verticale e l’orizzontale superiore alludono al numero
ordinale V (5): da cui l’accoppiata ‘LV’ (55) evocativa del
codice ‘VV’. Due numeri, questi, trasducibili in lettere greche: se capovolti formano
infatti le lettere greche G (gamma) e L (lambda).
39.
Rammentiamo che nel Medioevo la lettera G
(gamma) indicava la prima nota Sol della scala musicale alfabetica
assonante con Sole. Quanto alla L
(lambda) - alias la latina elle iniziale di Luna – capovolta
si muta nel numero ordinale V contestualmente riferito al quinto
grado della scala medioevale guidoniana (precursore della scala moderna), ovvero
ancora la nota Sol (alias la lettera G).
40.
Ebbene, la lettera G (gamma)
associata al Sole e la lettera L (lambda)
associata alla Luna non sono forse formalmente assimilabili ai due
elementi costitutivi del simbolo massonico: la squadra e compasso?
Quanto alla G sovente posta al centro del simbolo, il rinvio è alla
comune matrice musicale delle due lettere: la nota Sol.
41.
Ed è proprio il binomio ‘squadra e
compasso’ a dominare concettualmente una delle opere giorgionesche più
celebrate: I tre filosofi.
42.
L'uomo al centro in abiti orientali rosso
vivo tiene il pollice della mano destra sulla cintola bianca all'altezza del plesso
solare. Non è casuale che le linee del pollice e dell'indice formino la
lettera G
associata al Sole in procinto di sorgere a Oriente luogo di provenienza
del personaggio. Ed è la forza distruttivo-rigenerativa del Sole a essere simboleggiata
dall’albero arso alle spalle del nostro uomo. Né sfugge il candido lembo della
cintola a forma di lettera L (lambda) sotto la ‘dattilologica’ lettera
G
(gamma) contestualmente dominante.
43.
Per contro l'uomo anziano in abiti
occidentali color pallido ocra - simil Luna! – si staglia su uno sfondo
vegetativo lussureggiante. La mano destra regge un cartiglio con al centro la falce
lunare mentre l'altra impugna il simbolo che la rappresenta: il compasso.
Quanto alla lettera L (lambda), iniziale di Luna,
acquista nel contesto un ruolo dominante rispetto al Sole parzialmente visibile
nella parte bassa del cartiglio.
44.
Infine, l’antro tenebroso della caverna
verso cui volge attonito lo sguardo il giovane seduto, tradisce la silhouette
di un anziano yogi nella posizione ‘del loto’ prescritta dall’Hata-yoga, la
tecnica meditativa più diffusa in Occidente che – non a caso! – si compone dei
termini sanscriti Ha (Sole) e Tha (Luna). Il principio di
‘coincidenza degli opposti’ è quindi emblematicamente sancito dal gesto del
giovane che sovrappone il compasso
alla squadra.
45.
Nel saggio Gli artisti del Tempio estendo l’analisi semiologica delle
opere d’arte esoteriche pierfrancescane al Battessimo di Cristo, al
Sogno di Costantino, alla
Pala di Brera, alla
Resurrezione e alla
Natività.
46.
Dimostro altresì che al ‘Tempio-Tetraktys’
s’ispira la modulistica architettonica di Leon Battista Alberti applicata alle
chiese di S. M. Novella di Firenze e di San Sebastiano di Mantova, così come,
verosimilmente, alla celebre Città ideale. L’eredità di Piero e
dell’Alberti, prima accolta da Leonardo da Vinci e dalla cerchia di Giorgione
di Castelfranco, sarà infine trasmessa alla Massoneria e ai Padri Fondatori
degli Sati Uniti d’America che l’ergeranno a cripto-manifesto politico-programmatico
nella banconota da un dollaro.
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