sabato 21 novembre 2020

ArtEretica. Quarto capitolo (Parte seconda)

 

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QUARTO CAPITOLO (II parte)

Il rebus Gioconda

Di Luigi Pentasuglia

 

Questa seconda sezione dedicata alla Gioconda s’incarica di svelarne la matrice ideologica. Se nella prima parte è emerso che il volto della dama è strutturato in forma bipartita, nel senso che una porzione del viso di Leonardo si sovrappone a una porzione del viso di mamma Caterina, tutto quello che sta al di sotto della testa inerisce in forma criptica la filosofia dell’opera.

 


Già la ripartizione parallelo-oppositiva dei simboli rilevati nella prima parte del capitolo è di per sé indiziaria:

      il profilo caricaturale del vecchio si oppone al profilo aggraziato e ben definito della ragazza (figure A e B);

      il calco funerario di Leonardo e il teschio (figura C) si oppongono all’ariete segno zodiacale dell’artista (figura D);

      la linea dell’orizzonte sullo sfondo a sinistra è più bassa della linea dell’orizzonte sullo sfondo a destra (punti E - F).

 


Ci sono dunque abbastanza simboli oppositivi per avallare il sottotitolo del mio saggio ‘Monna Tao. Le radici orientali del templarismo’. Rammentiamo che il radicamento del Cristianesimo in Cina è un fatto compiuto già nella prima metà del VII secolo. Lo commemora, 150 anni dopo, la Stele di Xi’an commissionata dall’alto prelato nestoriano di Persia Yisi, nonché generale degli imperatori della dinastia Tang.

 


Se per un verso l’alto grado militare ricoperto da Yisi suggerisce che i nestoriani in Cina fossero partecipi delle arti marziali dei monaci shaolin, per altro il nome ‘Yisi’ si rivela assonante con ‘Gianni’, il leggendario potente re-sacerdote nestoriano d’Oriente la cui fama è legata a una celebre missiva indirizzata all'imperatore bizantino Manuele I Comneno, in cui Prete Gianni si fa in prima persona promotore di una crociata in Terrasanta.

 


Leggenda a parte, non escludiamo l’eventualità che, in seguito alla cacciata nel IX secolo dei cristiani dalla Cina, gli esuli nestoriani d’Armenia, di Siria e di Palestina non dismisero affatto la pratica meditativa dell’arti marziali acquisita sul campo in Cina, tanto che i loro successori poterono trasmetterla ai monaci-cavalieri Templari.

 


L’adesione dei Templari alla dottrina taoista è del resto implicita nel simbolismo duale dell’Ordine:

a)      lo stendardo bianconero Baussant richiama l’emblema del T’ai-chi rappresentativo del movimento ciclico del Tao, l’energia cosmica distinta in due principi polari: il principio femminile yin (nello stemma associato al colore nero) e il principio maschile yang (nello stemma associato al colore bianco).

 


b)      L’armonia degli opposti che è alla base della filosofia taoista echeggia altresì nell'articolo XI della Regola templare che impone il consumo dei pasti in un'unica scodella per ogni coppia di cavalieri;

 


c)      Quanto al significato del Sigillo dell'Ordine del Tempio raffigurante due cavalieri in groppa allo stesso cavallo, c’instrada l’ideogramma cinese Tao (figura A). Ruotando di 90° in senso antiorario l'elemento evidenziato in rosso compare in forma stilizzata il Sigillo dell'Ordine (figura B): se per un verso il rettangolo centrale allude agli scudi affiancati dei due militari, per altro i due 'accenti' sul rettangolo evocano le teste degli armigeri; quanto all'elemento in basso non suggerisce forse la sagoma di un cavallo con la coda impennata?

 


È plausibile che i simboli taoisti criptati da Leonardo nella Gioconda gli siano stati suggeriti, nel corso dell’ultimo suo soggiorno in Francia, direttamente dal suo insigne ospite: il re Francesco I di certo informato sulle confessioni estorte con la forza agli alti ranghi templari su ordine del suo predecessore Filippo IV il Bello.

 


Ma veniamo alla Gioconda. Al dualismo taoista fa appello sullo sfondo a destra la struttura 'rettilinea' del ponte controbilanciata a sinistra dalla strada 'tortuosa’. Il fatto che ciascun tornante del tratturo presenti al centro un masso tondeggiante, fa sì che nell’insieme la strada dia l’idea del simbolo taoista per eccellenza: il T’ai-chi.

 


L’effettivo rimando al Taoismo è criptato nella strana forma a falde spioventi del terreno alle spalle della dama [riquadro A]. Un’attenta osservazione consente di rilevare la sagoma delle dita indice, medio, anulare e mignolo della mano sinistra, mentre il pollice è supplito dal banco roccioso parallelo al ponte.  Ebbene, facendoci caso con attenzione, questa gigantesca mano non emula forse quella della dama sull'avambraccio?

 


Per giustificare l’analogia bisogna considerare che, differentemente dalle dita indice, medio, anulare e mignolo, tutte di materia terrosa, solo il pollice si distingue per essere di nuda roccia. Un indizio che ci porta alla posizione altrettanto isolata del pollice della dama sulla manica della camicia le cui pieghe formano una enigmatica lettera 'M’ in elegante stile corsivo.

 


Qui sta il rebus. Infatti, il ‘pollice’ della dama sulla manica sottintende il ‘pollice’ sul Canale della Manica, ossia in lingua inglese. Senonché il pollice in questione è criptato alle spalle della dama: è il pollice di pietra che sta a terra, perciò allusivo dell’alluce, in lingua inglese toe, la cui pronuncia è simile alla parola cinese ‘Tao’!

 


Lo conferma il parallelismo geometrico tra il pollice di pietra e le lettere T - AO inscritte nelle arcate del ponte: il primo pilastro a sinistra, con le due traverse orizzontali laterali di tonalità più scura, suggeriscono la lettera ‘T’; segue la ‘A’, ossia l'ampia campata tondeggiante centrale; infine la 'O', ovvero l'ultima arcata a destra.

 


La parola TAO è inoltre criptata a rovescio ('O-A-T') nelle colonnine del bracciolo della sedia. Leggendo da sinistra verso destra, i primi due spazi tra le colonnine suggeriscono le lettere 'O' e 'A‘; l'ultima colonnina, visibile per intero, richiama la lettera 'T'. C’è infine la forma del bracciolo della sedia affatto simile a un libro.

 


Ebbene, il libro in questione è il Tao-tê-ching, il più famoso testo canonico taoista. Lo rivela il numero '72' all’interno del primo arco a destra del ponte, numero riferibile al capitolo dell'antico testo cinese in cui sta scritto:

 


Il Santo conosce se stesso ma non si fa conoscere

Dunque, quale migliore definizione per esprimere l'essenza sapienziale di questo straordinario capolavoro d'ingegno speculativo e artistico, oltre che dissipare ogni dubbio circa l'identità della dama!

 


venerdì 20 novembre 2020

ArtEretica. Quarto capitolo (prima parte)

 

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QUARTO CAPITOLO (I parte)

Il rebus Gioconda

di Luigi Pentasuglia


Diviso in due parti, questo capitolo dedicato alla Gioconda è il punto d’arrivo della personale riflessione sugli aspetti ermetici dell’arte leonardesca confluita, nel 2016, nel saggio I volti della Gioconda. Monna Tao: le radici orientali del templarismo.

 


Se da un lato il simbolismo della Gioconda si accorda con il rebus della Visitazione lucana che alla stregua di fil rouge interseca le opere leonardesche esaminate nei precedenti capitoli, dall’altro si distingue per la valenza autoreferenziale, tale da farla assurgere a una sorta di testamento spirituale dell’artista.

 


Un indizio autobiografico della Gioconda lo riserva ancora una volta il Gruppo di Sant’Anna dove il volto della Madonna è sorprendentemente simile a quello della Isleworth Mona Lisa. È questo un autografo preparatorio della Gioconda che, agli inizi del secolo scorso, apparteneva al collezionista d’arte Hugh Blaker che lo teneva nel suo studio londinese a Isleworth.

 


Partendo dalla tesi freudiana già trattata nel precedente capitolo, tesi secondo cui nel Gruppo di Sant’Anna Leonardo si è proiettato in Gesù bambino evocando il suo sogno infantile che in culla un nibbio con la coda gli lambiva le labbra, per coerenza d’intenti egli potrebbe aver altresì effigiato la Vergine con le sembianze di mamma Caterina riproposte nella Isleworth Mona Lisa. 

 


Lo fa sospettare un dettaglio sullo sfondo a sinistra sopra la strada tortuosa dove campeggia una macchia vegetativa i cui contorni tradiscono la silhouette di un feto con tanto di manina al centro, feto che si riflette in uno specchio d’acqua evocando il ‘doppio amniotico’. Si tratta dunque di una deroga concettuale al progetto ritrattistico originario, quasi che l’artista sia stato d’un tratto sospinto dal bisogno di proiettarsi idealmente nel feto accanto a sua madre.

 


Da qui il ripensamento radicale dell’opera per eternare l’ancestrale simbiosi affettiva con mamma Caterina qui intesa nell’accezione di ‘Prima Madre’ intrauterina. Altrimenti: perché lasciare incompiuta la bella Isleworth Mona Lisa per gettarsi capofitto nella certamente meno avvenente Gioconda?

 


Il nome ‘Ioconda’ compare tra i titoli delle opere ereditate dalle sorelle del modello e forse amante di Leonardo. Si tratta di Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì che affibbiò quel nome alla copia di sua mano del capolavoro leonardesco avendolo verosimilmente mutuato dal maestro di Vinci che, come avremo modo di appurare, l’intese nell’accezione latina di ioco (gioco, ‘rebus’).

 


Il primo elemento degno di attenzione è l'agglomerato dolomitico in alto a destra, a ridosso della testa della dama. Un'attenta osservazione rivela che la linea delle creste rocciose disegna un profilo giovanile femminile di cui sono leggibili le sfumature chiaroscurali del naso, delle labbra e del mento. Che si tratti del profilo di mamma Caterina?

 


Lo conferma, per contrasto, un dettaglio paesaggistico sull'altro lato del dipinto. Ben mimetizzo tra rocce, nebbia e fitta vegetazione, emerge qui il profilo grottesco di un anziano che ha per prototipi il vasto repertorio di teste burlesche leonardesche. Se dunque il bel profilo a destra è di mamma Caterina, quello sgraziato dell’anziano a sinistra deve far capo al padre di Leonardo, messer Piero da Vinci, forse a prova del risentimento nutrito dall’artista per il trattamento di figlio illegittimo.

 


Un terzo significativo elemento autobiografico è criptato nello sfondo a sinistra sopra la strada. È un ammasso roccioso le cui creste disegnano il profilo di un uomo barbuto (figura B). Che trattasi del calco funerario di Leonardo lo prova un macabro indizio sopra e a destra del ‘calco’ (figura A). Infatti, ruotando l'immagine di 90° appare, sospeso in uno scenario surreale, la calotta di un teschio umano orientato per tre quarti come la testa della dama (figure C e D).

 


Controbilancia l’idea di 'morte' la sagoma della testa d'ariete affiorante a pelo d'acqua sopra e parallelo al ponte nello sfondo a destra: non è forse Leonardo nato il 15 di aprile, cioè nel segno zodiacale dell'Ariete? Il fatto che l’ariete emerga dall’acqua, proprio sotto il profilo di mamma Caterina, avvalora la tesi che Leonardo intendesse contestualmente attribuire alla madre l’accezione di 'doppio amniotico’.

 


In ultima analisi, il volto della Gioconda è declinabile al plurale: se da un lato la fronte e gli occhi sono di un giovane Leonardo, dall’altro il mento le labbra e il naso della dama sono di una altrettanto giovane mamma Caterina. Dipende dunque dall’asettica giustapposizione dei due distinti tratti fisiognomici l'enigmatico sorriso della Gioconda sospeso tra gaiezza e tristezza?

 


La seconda parte del capitolo quarto sulla Gioconda concerne la matrice ideologica dell’opera: il Taoismo.

 



ArtEretica. Terzo capitolo

 

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TERZO CAPITOLO

Leonardo da Vinci: la Vergine delle rocce

di Luigi Pentasuglia

 

Prima di affrontare la Vergine delle rocce, sulla scorta di quanto esposto nei due precedenti capitoli ci occuperemo di due parafrasi leonardesche della Visitazione lucana: l’incompiuto Cartone di Londra della National Gallery e il Gruppo di San’Anna del Louvre.

 


Entrambi i lavori rispondono allo schema della matrioska: Sant’Anna tiene sulle ginocchia la Vergine Maria che, per parte sua abbraccia il Bambino Gesù che, a sua volta, nel Gruppo di Sant’Anna trattiene l’agnellino, mentre nel Cartone di Londra accarezza San Giovannino.

 


Nel saggio Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci Sigmund Freud rileva l’esistenza di un nesso autobiografico tra il Gruppo di Sant’Anna e il sogno infantile del genio vinciano riportato negli appunti sul ‘Volo degli uccelli’. Scrive Leonardo:

 

Questo scriver sì distintamente del nibio par che sia mio destino,

perché nella prima recordatione della mia infantia e' mi parea che,

essendo in culla,  un nibio venissi a me e mi aprissi la bocca con la sua coda

e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra.

 

In quello scritto Freud fa sua l’osservazione dell’amico e seguace Oskar Pfister secondo cui il drappo azzurro della Vergine tradisce la silhouette di un avvoltoio con la punta della coda che lambisce la bocca del Bambino Gesù: cioè esattamente come nel sogno di Leonardo. Si tratta di un indizio favorevole alla nostra tesi che vuole la Vergine Maria simboleggiare il ‘doppio amniotico’, come del resto suggerisce il colore azzurro-marino del mantello della Vergine a forma d’avvoltoio.

 


Riguardo al Cartone di Londra Freud rimarca come le due donne appaiono coetanee e che le loro teste sembrano emergere da un solo corpo. Dunque, un ulteriore sostegno alla tesi da noi perorata della convergenza delle due madri in un’unica persona. In quanto parafrasi della Visitazione lucana, nel Cartone di Londra Sant’Anna funge da sostituta di Elisabetta, mentre Maria sulle sue ginocchia personifica il ‘doppio amniotico’. Riguardo a Cristo che accarezza San Giovannino, l’allusione è all’unzione cristica, alias la ‘vernice caseosa’ che ricopre il Battista-feto nel sesto mese di gestazione.

 


L’allusione alla gravidanza di Elisabetta è la curva del braccio della Vergine che si prolunga verso l’alto inglobando l’indice di Sant’Anna.

 


Al sesto mese di gravidanza fanno invece capo, da un lato l’indice e il medio benedicenti di Gesù formanti il numero ordinale ‘V’, dall’altro il numero ordinale ‘I’ implicito nell’indice di Sant’Anna puntato in alto: da cui la somma ‘V + I  = VI’, somma allusiva del mese di gravidanza di Elisabetta.

 


Siamo ora pronti per l’analisi semiologica della più ermetica parafrasi della Visitazione leonardesca: la Vergine delle rocce del Louvre. Qui, più che altrove, è evidente l’assimilazione della Vergine al liquido amniotico surrogato dal mantello blu con cui avvolge il Battista. A evocare il ventre gravido di Elisabetta provvede l’ampia caverna.

 


La strategia simbolica adottata da Leonardo nella Vergine delle rocce fa perno sui 6/9 del periodo di gravidanza di Elisabetta, una frazione che l’artista interpretata in termini pitagorico-musicali. Sappiamo che i Pitagorici si servirono di uno strumento di misurazione, chiamato monocordo, per rilevare i punti d’intercettazione delle note sulla corda armonica. Si tratta di una semplice tavoletta di legno munita di due ponticelli fissati alle estremità su cui è tesa la corda; un terzo ponticello intermedio, mobile, provvede a frazionare la corda in punti precisi.

 


-          Figura A. Supponiamo che il monocordo sia accordato sulla nota Do.

-          Figura B. Spostando il ponticello intermedio a 2/3 della lunghezza della corda si ottiene la nota Sol.

-          Figura C. Il Sol così ottenuto è dunque la quinta nota a partire dal Do.

-          Figura D. La distanza che intercorre dal Do al Sol si chiama intervallo di quinta.

 


Oltre alla frazione 2/3 che esprime il punto geometrico d’intercettazione sul monocordo dell’intervallo di quinta (figura A), dello stesso intervallo esiste anche il rapporto matematico che, a sua volta, si esprime con la frazione inversa 3/2 (figura B). Un rapporto, questo, fondamentale su cui si basa il metodo pitagorico per calcolare le note della scala musicale noto come ‘Ciclo delle quinte’.

 


Tornando alla Vergine delle rocce, Leonardo si è servito dei due rapporti inversi dell’intervallo di quinta – 2/3 e 3/2 – per alludere alla forma ‘inversa’ del Battista-feto rispetto al ‘doppio amniotico’.

 


È quanto emerge dal dialogo dattilologico che s’instaura tra la Vergine, l’angelo e Gesù bambino. Leggendo dall'alto in basso, le dita della Madonna suggeriscono un 5 sovrastante un 1, ossia l’indice dell’angelo: da cui 5 + 1 = 6. Leggendo dal basso verso l’alto, l’indice e il medio di Gesù benedicente danno forma al numero ordinale V; computeremo pertanto l’indice dell’angelo come numero ordinale I: da cui V + I = VI, cioè un secondo ‘6’ speculare al primo. 

 


Avendo computato il primo ‘6’ dall’alto verso il basso e il secondo '6' dal basso verso l’alto, interpreteremo quest’ultimo capovolto come numero 9. Assegnando pertanto al 6 la funzione di numeratore e al 9 quella di denominatore otteniamo la fatidica frazione 6/9 - multipolo di 2/3 – che, come sappiamo, esprime il rapporto geometrico dell'intervallo di quinta.

 


Lo conferma il mantello rosso dell'angelo i cui lineamenti assai gentili sono tuttavia contraddetti da un bacino affatto sproporzionato verso cui volge sornione lo sguardo. In realtà, l'abnorme fianco tondeggiante dell’angelo funge da testa sia di un 6 che di un 9; due numeri che, a immagine riflessa, formano la frazione 6/9 multiplo di 2/3, alias il rapporto geometrico dell'intervallo di quinta.

 


Il passo successivo interessa il drappo chiaro al centro del manto blu della Madonna, drappo che si presenta bipartito, ovvero tutto pieghettato a sinistra e affatto piatto a destra simile alla tavola armonica di un liuto (figura A). L’allusione alla ‘musica’ emerge a immagine ruotata di 90° in senso orario (figura B). Ebbene, la piega centrale del drappo forma un 3 che si prolunga in basso formando un 2: in altri termini un 3 su 2 espressione del rapporto matematico dell’intervallo di quinta (figura C).

 


Il principio di coincidentia oppositorum ‘VV’ (quinta/quinta) adombrato da Leonardo nelle frazioni inverse 6/9 e 3/2 è criptato nel punto segnalato dall’indice dell’angelo. Ad essere segnalato sono le mani giunte del piccolo Battista con le 5 dita di una mano che ‘coincidono’ con le 5 dita dell’altra mano!

 


Leonardo fornisce di tutto ciò una conferma di tipo geologico. Nel punto ‘A’ i blocchi della volta rocciosa disegnano le dita della mano aperta della Madonna associata al numero '5’; il numero ‘1’, alias l’indice puntato dell’angelo, è invece criptato nel punto B, sotto la 'mano rocciosa’, precisamente nel monolite incastonato nella nicchia. 

 


Il secondo ‘6’ lo troviamo nei punti ‘C’ e ‘D’. In ‘C’ si legge il numero romano ‘V’ composto da due travi rocciose, un numero, questo, già assimilato alle dita indice e medio benedicenti del piccolo Gesù. Quanto all’indice puntato dell’angelo associato al numero ordinale I, lo si trova criptato nel secondo monolite incastonato nella nicchia a destra: precisamente nel punto D.

 


Quanto al gesto delle mani giunte di San Giovannino rivelatore del codice leonardesco ‘VV’ (quinta, quinta), lo si trova nel punto ‘E’, proprio sopra il Santo in forma di creste dolomitiche.

 


 


ArtEretica. Secondo capitolo

 

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SECONDO CAPITOLO

Leonardo, Pontormo e il rebus della Visitazione

di Luigi Pentasuglia


Come anticipavamo a conclusione del precedente capitolo, l’androgina del leonardesco Giovanni Battista del Louvre riflette la strategia enigmistica adottata da San Luca per l’episodio evangelico della  Visitazione: l’incontro di Maria gravida di Gesù con la parente Elisabetta a sua volta gravida di Giovanni Battista. Quanto all’ambientazione nel sesto mese di gravidanza di Elisabetta la scelta dell’evangelista non è affatto casuale.




 È in questo mese, infatti, che il feto umano – e soltanto lui! - si ricopre di vernice caseosa, una sostanza oleosa prodotta dalle ghiandole sebacee che lo preserva dall’azione macerante del liquido amniotico. Per avere un’idea di ciò di cui parliamo si osservi questa sconcertante foto pubblicitaria che, nel 1992, Oliviero Toscani realizzò per conto della United Colors of Benetton: mostra una neonata totalmente imbrattata di vernice caseosa con il cordone ombelicale ancora attaccato alla madre. 

 


La nostra tesi è che la singolarità umana della vernice caseosa sia stata da San Luca assimilata nella Visitazione al Christos, l’Unto in seno alla Vergine Maria. Non è una coincidenza che Leonardo raffiguri il suo giovane Battista mentre punta perentorio l’indice verso la croce, laddove nella radiografia compare il Chrismon, monogramma sia di Cristo che di Crisma.




Né andrebbe trascurata la potenzialità semantica del termine latino index (indice) che, scisso in ‘INDE-X’, tende al senso ‘ecco la X’ (chi) iniziale greca di Christos. Anzi: l’indice puntato, caratteristico di molte figure leonardesche, sembra fungere da firma cripto-ereticale dell’artista. Quanto poi al sorriso compiaciuto del Battista ben si accorda, nella Visitazione, con il senso del dialogo tra Elisabetta e la Vergine Maria.

Esordisce Elisabetta che così risponde al saluto di Maria: «Appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bambino m’è balzato in seno per la gioia».

Le fa eco la Vergine: «Esulta l’anima mia il Signore perché ha considerato l’umiltà della sua serva».

Ebbene, l’esultanza di Maria alla notizia della gioia del Battista-feto stabilisce un’empatia emozionale fra i due. Infatti, qualificando Maria umile serva del Signore, San Luca svela di lei il ruolo simbolico: quello appunto umile e servile del ‘doppio amniotico’ che asseconda passivamente le fattezze del Battista-feto. Ma Maria è anche portatrice del Christos – alias la vernice caseosa -,  il che le vale il rango di Anima del Battista autocelebrata nel Magnificat: «Esulta l’anima mia il Signore».

La prova di tutto ciò è criptata nell’ultima frase del capitolo che dice: Maria rimase con lei [Elisabetta] circa tre mesi, poi ritornò a casa sua. Ebbene, sommando i 6 mesi di gestazione di Elisabetta con i circa 3 mesi di soggiorno presso di lei di Maria non otteniamo i 9 mesi di una normale gravidanza? Dunque, perché Maria decide di tornare a casa proprio a ridosso della nascita del Battista? Pertanto, la risposta sta nel fatto che, essendo Maria assimilata al liquido amniotico destinato a ‘svanire’ con la rottura delle acque, la sua presenza è incompatibile con la nascita del Battista!

 


Ne consegue che Maria ed Elisabetta sono altrettante espressioni della stessa persona: infatti, se da un lato Elisabetta è la madre naturale di Giovanni Battista, dall’altro Maria incarna l’archetipo della ‘Prima Madre’ o ‘doppio amniotico’, il che giustifica anche lo scarto d’età fra le due: non è forse la gestante ‘più anziana’ del liquido amniotico che porta in grembo?

 


Agli esegeti più avveduti non è affatto sfuggita l’analogia tra la Visitazione lucana e il mito di Demetra alla ricerca di sua figlia Persefone rapita dal dio degli inferi Ade. Si narra che nel suo peregrinare Demetra s’imbatté nella vecchia nutrice Baubò che, per sollevarle il morale, si scoprì il grembo sul quale apparve sorridente il volto di Iacco figlio di Persefone. Dunque, come nella ‘Visitazione’, una madre giovane incontra una madre anziana che, paradossalmente, porta in grembo un bambino che si anima!

Una certa rilevanza ha per il nostro assunto questo reperto archeologico dell’antica città greca di Priene che raffigura una Baubò ‘a tutta pancia’ con su inciso il volto sorridente di Iacco figlio di Persefone. Il fatto che imbracci la cetra chiama in causa l’altro suo nome, ovvero ‘Iambé’ assonante con ‘giambo’, il ritmo greco ‘breve lunga’ che imita il ritmo cardiaco che sovrasta l’habitat sonoro intrauterino.

 




Ebbene, nella Visitazione il ruolo di ‘Iambé’ è assolto dalla Vergine Maria la cui ‘sonante voce’ è rimarcata dall’esclamazione concitata di Elisabetta: «Appena il suono del tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bambino m’è balzato in seno per la gioia». Tuttavia, di là dal plagio, la Visitazione sembra piuttosto rispecchiare l’opera di proselitismo apostolico del Cristianesimo delle origini che attingeva ai miti pagani per attrarre i gentili verso la nuova fede.




Un esegesi, la nostra, certamente condivisa da una ristretta cerchia di artisti e umanisti rinascimentali. È quanto si evince dall’enigmatica Visitazione del pittore Jacopo Carucci detto il Pontormo: in primo piano Maria ed Elisabetta si abbracciano mentre sullo sfondo due loro sosie fissano l’osservatore come a interrogarlo sul mistero dello ‘sdoppiamento’.


 


La chiave di volta sta nella tonalità delle vesti. Diversamente dalla sosia di  Elisabetta, la sosia di Maria presenta i colori della tunica e del copricapo invertiti. È dunque così che l’artista cripta il ruolo simbolico della Vergine, ossia di immagine ‘inversa’ del Battista-feto, di ‘doppio amniotico’ cui, tra l’altro, si addice il convenzionale blu oltremare della tunica.

Tuttavia, chi più di tutti gli artisti rinascimentali seppe scandagliare a fondo il rebus della Visitazione è - come avremo modo di appurare nel prossimo capitolo - Leonardo da Vinci, in particolar modo nella versione del Louvre della Vergine delle rocce.